25 Aprile Cosenza Meticcia

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Un 25 aprile antirazzista e antifascista anche a Cosenza. La città solidale si trovata nella storica piazza della sinistra extra, convocata quest’anno dagli studenti medi e universitar* Giornata dedicata innanzitutto alla strage avvenuta nel canale di Sicilia. Nel volantino diffuso si legge delle responsabilità della classe politica, nella strage come delle condizioni materiali sempre sulla precarietà, dello smantellamento del welfare, come delle guerre in corso in Africa e Afganistan ecc. Gli stessi autori delle politiche che hanno reso il mediterraneo un cimitero, sono coloro che fomentano razzismo, divisioni e paure, guerra fra i poveri, carceri come CIE e CPT, per cui il 25 aprile non è spoglio della sua natura di classe, come mero momento celebrativo, ma è un momento per costruire e saldare nuove relazioni per pratiche e dinamiche sociali alternative, verso un Europa dei popoli liberi dal dominio statale e bancario. Molto apprezzato e applaudito da tutta la piazza, l’intervento del compagno del Gruppo Eco Sociale Malatesta Cosenza, che ha sottolineato come è evidente che non tutti 25 aprile siano uguali e che questo è ancor più differente. Il pensiero che hanno le istituzioni, totalitarie o democratura alla Renzi, (che cambia la costituzione, sempre stata carta igienica per i padroni in Italia) delle persone, sia funzionale a mantenere il dominio. Le persone messe nei lager dai nazisti erano schiavi per la produzione di armi e ciò serviva alla grandezza del III Reich come pure i migranti sono schiavi, senza diritti: escono dai CIE per andare a lavorare nelle nostre campagne, a Crotone come a Lamezia, questo è il nazifascismo oggi in Calabria! Queste sono istituzioni totalitarie! Tutto creato ad arte grazie a quei confini segnati con una matita sulla cartine geografiche, magari dopo una bella guerra sempre fatta massacrando proletari e contadini, persone inerme per difendere gli interessi dei padroni che speculano sulle guerre. Confini che non valgono per i prodotti energetici che vengono dall’Africa, per le materie prime, o merci che vanno e vengono dall’oriente. Confini che mantengo integre le ricchezze delle borghesie nazionali, e sempre più poveri i poveri, e gli sfruttati, oggi son sempre più precari.  Lavoratori anche in europa, una volta cuore pulsante del dominio statale e capitalista. C’è bisogno di più unità dal basso, quella che è stata in grado di battere il nazifascismo, compagni che la pensavano in modo diverso, magari anche “non compagni” che si sono riconosciuti come dalla stessa parte della barricata, fratelli di altre culture, nella lotta contro la bestia nazifascista che oggi è tornata, per chi oggi imprigiona o nega i diritti ad un Senegalese, ad bambino Rom, oggi le nega a noi che lottiamo in difesa dei nostri territori e domani lo farà per ogni persona che non sia legata alla cricca degli amici degli amici.

                                                                                                                             Orè

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Viadotti crollati. L’Italia del massimo ribasso.

Nelle cronache degli ultimi giorni, viadotti crollati, un pilone della Palermo-Catania ha ceduto, tagliando in due la Sicilia, e una voragine di un oltre un metro si è aperta in Sardegna sulla statale 554. Opere mal eseguite, peggio progettate, mai finite o abbandonate, e il presidente dell’Anas, gruppo pubblico, già indagato per abuso d’ufficio, il super-manager delle autostrade Pietro Ciucci, annuncia le dimissioni. È Palazzo Chigi a chiedere le dimissioni per bocca di Erasmo D’Angelis, coordinatore della struttura di missione gli ha chiesto di “assumersi le sue responsabilità”. Dopo l’assemblea di metà maggio si dimetterà dall’incarico di presidente e amministratore delegato dell’Anas. Prosegue la ristrutturazione in senso aziendalista ed efficentista del carrozzone Italia. Il piè veloce Matteo Renzi anche questa volta, non ha perso tempo per scaricare un altro boiardo di stato, dopo Ercole Incalza e il Ministro Lupi. Peccato che tutto questo avvenga solo e sempre in risposta a qualche disastro, non per iniziativa politica del governo PD. Il neo ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti Graziano Delrio incontra l’ex boiardo di stato Ciucci e poche ore dopo sul sito dell’Anas compare un breve comunicato che informa della “intenzione di rimettere l’incarico” e fonti ministeriali fanno sapere che ciò “apre la strada a una nuova stagione per i lavori pubblici e per l’Anas, in sintonia con la discontinuità che si sta avviando al ministero”. Purtroppo tutto ciò non ridarà la vita a Adrian Miholca, il 25enne deceduto lo scorso 2 marzo per il crollo del tratto del viadotto Italia compreso tra Laino Borgo e Campotenese. Era rumeno, e la sua morte non fa notizia. Come l’inchiesta della Procure di Castrovillari che si incrocerà con quella di Firenze sulla tangenti per le grandi opere in Italia: un lungo elenco di appalti dorati finiti nelle mani di una presunta cricca, tra cui anche il terzo macrolotto dell’A3: quello del viadotto Italia. Da un’intercettazione telefonica captata dopo la sciagura, infatti, emerge come uno degli indagati si preoccupasse di verificare i contratti di collaborazione stipulati con una società nella direzione dei lavori (duecentomila euro in quattro anni) dal momento che per sua stessa ammissione, si sarebbe trattato di contratti ai quali non avrebbe fatto seguito alcuna prestazione lavorativa. Dagli atti, inoltre, emerge come il costo complessivo di quel cantiere fosse levitato da 424 a 600 milioni di euro e, dulcis in fundo, non mancano ombre sulle fasi successive all’incidente mortale. A pagare il prezzo del sistema Italia sono in primo luogo le maestranze. La manodopera non ha mai avuto in Italia una giusta considerazione. Tramontata l’ideologia operaista, non è rimasto nessuno o quasi a valorizzare e dare la giusta e doverosa importanza e chi costruisce, lavora, spesso a suo rischio e pericolo i beni materiali, o la loro manutenzione. Questo ha significato negli ultimi decenni un decadimento delle maestranze e delle competenze, come pure progettazioni, sacrificate sull’altare del profitto, in una società dello spettacolo, dove solo l’apparire e ostentare, scimmiottando improbabili VIP, è importante. Strade sempre più larghe e veloci si sovrappongono alle vecchie, le nuove autostrade le cosiddette grandi opere, tunnel, aeroporti, ponti, porti turistici, il più delle volte inutili, fanno da apripista al consumo del territorio, parcheggi, centri commerciali, ipermercati, parchi divertimento, mega cinema, impianti sportivi, e case, case, e ancora discariche o inceneritori. Il territorio usato come merce di scambio, per affermare potere, controllo sociale attraverso l’indotto dell’edilizia che continua a essere, settore trainante nonostante la crisi. Il governo attraverso lo “sblocca Italia”, sciolte le briglie del motore delle grandi opere, moltiplica le colate di cemento, senza alcun intervento reale sul territorio. Lo stato di salute di una collettività passa attraverso la consapevolezza. È sui rifiuti, sull’energia, sulla gestione delle risorse idriche, sulla sanità, oltre che da sempre su edilizia e urbanistica, che nei territori si gestiscono le cordate d’affari, mettendo a serio rischio ambiente, salute e beni dei cittadini. Stiamo pagando a caro prezzo l’industrializzazione e la cementificazione selvaggia degli anni passati. Si costruisce ovunque, si sfrutta la natura, si devastano montagne per realizzare opere inutili e dannose. Fra i compiti della rivoluzione sociale, oltre a dare il giusto valore all’opera umana, magari riqualificata in processo di lotte eco sociali nei territori, c’è anche quello di distruggere tutto ciò che mina il futuro delle prossime generazioni. Noi non vogliamo morire per la produzione, stiamo morendo di diossina, di inquinamento. Una diversa cultura del territorio, una più spiccata attitudine della popolazione a prendersi cura dell’ambiente in cui vive, potrebbero dar vita ad una riflessione ed una pratica collettive capaci di innescare un processo virtuoso, capace di arrestare e, chi sa, invertire la marcia del motore impazzito che ci governa. Non vi sono valori superiori al diritto di vivere bene in un luogo e di gestire la propria esistenza in un rapporto qualificato con il sistema naturale e sociale in cui si svolge. Quando il prelievo di una risorsa, la trasformazione di un’area, la costruzione di un infrastruttura danneggia l’equilibrio di un territorio, e peggiora quindi le condizioni di vita delle persone che compongono la comunità, esso non va attuato.

Orestes

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Dei settari e delle protagoniste. Le lotte e i percorsi di liberazione.

 7409_10203515401583131_6998093891518937528_nAi giorni nostri la critica sociale non gode di buona salute e sono scomparsi i grandi movimenti, ma non le ragioni che le aveva partorite. Si può dire che le manchi una diffusione? Si potrebbe affermare che soffra di sovraesposizione: è diventata un luogo comune, che si crede di sapere a memoria, se conosciuta su libri e riviste. Le tensioni libertarie, sempre presenti nella società, hanno trovato conferme in questi anni. La ripresa delle lotte per la soddisfazione di esigenze primarie sempre più negate da questo sistema, sta vedendo l’incrociarsi dei destini delle nuove generazione con le altre che le hanno precedute. Lo studente di oggi sarà, con buona probabilità il precario di domani, assieme a quello di oggi. I loro destini sono uguali a quelli di operai, impiegati, ecc, un tempo garantiti, sacrificati sull’altare della delocalizzazione delle imprese, destino ancor più complicato per il migrante.

Lo sviluppo delle lotte a margine della condizione salariata (contro le nocività, la psichiatria, le prigioni etc.) derivavano la propria forza dal fatto di avere la lotta di classe come substrato immediato: l’amianto, il manicomio e la galera dovrebbero essere percepite come armi del padrone. Ciò ha un doppio significato: da una parte il movimento proletario, o almeno una parte di esso, era divenuto un centro d’attrazione anche per coloro che erano esclusi dal salariato (dagli studenti fino ai carcerati), dall’altro questa minoranza era portatrice di una critica totale del sistema. Oggi la lotta di classe ha diminuito d’intensità, fino quasi a scomparire, come in un periodo di controrivoluzione, e queste lotte, tendono ad avvolgersi su se stesse. Senza una ripresa della lotta di classe è impossibile che esse, laddove esistano realmente (come da anni in Val di Susa contro il TAV, per esempio), riescano a dinamizzare il contesto generale, a “sbloccare” la situazione.

Se isoliamo il valore costitutivo dell’azione condivisa, distruggiamo l’essenziale per produrre un superfluo immaginifico. L’anarchismo non può che ripetere, e rimettere in gioco in ogni lotta, la sua stessa e semplice conclusione totale, perché questa prima conclusione è fin dall’origine identificata al risultato totale del movimento, pena l’aver relegato alla marginalità una storia e una tradizione, a un idea astratta. guerra stato e capitale

L’abbandonarsi alla deriva settaria ed autoreferenziale, è il pesante lascito della stagione degli anni 70, della frammentazione parossistica, della lotta aspra fra le diverse fazioni, coscientemente o meno strumentalizzata ai diversi fini. L’autoreferenzialità non porta a niente, o a fare iniziative tanto per farle, solo “opera di testimonianza”, invece di stare nella realtà concreta, nella realtà sociale, vicino alle persone che vivono un territorio, chi fa “un serio” lavoro militante lo sa. È imprescindibile stare fra la gente nostra, poiché la risultante delle forze del cambiamento si compone delle diverse esperienze, dei vari percorsi di libertà.

Rifarsi alle proprie radici è importante, ma ha ben pensare è meglio considerare la propria storia, come un fiume, con diversi affluenti, più che un albero, inamovibile e sferzato dal vento. Fissare dei paletti, dei punti fermi quali l’antifascismo, l’antisessismo, l’antirazzismo non deve diventare un codice esclusivo che non consente di dialogare coi più, le cui coscienze sono piegate dal sistema d’indottrinamento scolastico, universitario o main stream.

Le nuove generazioni che si affacciano alla politiche per l’emancipazione dell’umanità, potrebbero imparare dagli errori del passato, senza cadere in un afflato volontaristico, psicologico, che potrebbe risultare pericoloso per se stessi e per gli/le altr*. Quando la volontà diventa il valore supremo, allora il delirio è dietro l’angolo. Non a caso nei territori battuti dai “cani sciolti” si trova spesso più fantasia e sperimentazione. L ‘indifferenza verso altre pratiche è non cogliere le differenze, ma se c’è qualcuno che fa cogliere le differenze, che le fa vivere, magari le conquista a quell’afflato universale che viveva nella Comune di Parigi, a Kronstad, nelle ramblas di Barcellona, e che vive in Chiapas e in qualche minoranza agente in Grecia.

partenzaLa vicinanza e prossimità nella dignità dei rapporti, in un tempo odierno davvero pericoloso in cui l’erosione dei diritti si coniuga con una fragilità delle risposte e degli anticorpi della società tutta, non solo quella classista, sono una garanzia.

Un punto fermo dovrebbe essere avere un pensiero, un azione ed una pratica sincretica. Il carattere inclusivo nelle pratiche, stare dentro le situazioni, portare il punto di vista proprio, magari frutto di analisi, di pensiero e non solo di percezioni o stati emotivi momentanei. Se il non congiungimento immediato con una coscienza di fondo, richiama la continua giustificazione: “noi siamo gli unici che…”, “noi siamo diversi dagli altri…” etc.; per l’altro, se collocata dall’esterno, la coscienza non possiede una trasmissibilità al fine di essere “inoculata”. Vale per tutti i vani tentativi di veicolare una coscienza, vale per la cosiddetta controinformazione. Si comunica realmente sempre e solo riguardo a ciò che si ha in comune. Al di fuori di una condizione comune effettivamente vissuta, di una comunità di lotta già esistente, la diffusione di un’informazione qualsivoglia (“esiste questa lotta in quel tal posto”, “hanno arrestato tizio per…etc.) è del tutto inutile: non sarà nient’altro che un dato in più nel flusso inarrestabile e superfluo che ci inonda quotidianamente.

La teoria e la pratica anarchica, per come essa oggi si manifesta, vede i limiti delle lotte come limiti esterni, imposti. Da qui, ad esempio, la pratica di “spingere” durante le manifestazioni degli altri: di “liberare” qualcosa che c’è ma è bloccato (dalle burocrazie di movimento, ai cosiddetti “pompieri” etc). In realtà questi limiti sono del tutto interni, sono un prodotto delle lotte stesse. E allora chiunque intende praticare un intervento per liberare dai propri limiti le lotte attuali non può che riprodurre tali limiti al contrario: “interrompere la normalità”, “creare momenti di rottura” Si parla di un rapporto sociale diverso da quello capitalistico che si manifesta istantaneamente in tali momenti. Dunque lotta all’interno di un rapporto sociale contraddittorio e rapporti sociali differenti che si fronteggiano faccia a faccia. Se il nuovo rapporto sociale è già presente nello stile di vita individuale (dall’alimentazione alle preferenze musicali) come nel momento collettivo (la famosa e poco vissuta “maniera diversa di stare insieme”), basterà semplicemente che esso si estenda. Oggi invece la benevolenza e la generosità, di tanti militanti è frustrata da improbabili cappelli politici. DAF in Kobane 2

Persone, gente nostra che sente sulla propria pelle le contraddizioni, che matura le riflessioni e scelte. Di rompere col sistema, nell’agire efficacemente al di fuori e dentro di esso, entrando direttamente nella vita sociale. Dentro e contro la storia. Dai picchetti antisfratto o davanti ai cancelli delle fabbriche, ai cortei studenteschi, dalle occupazioni di scuole ed università, ai presidi permanenti delle discariche, centrali a bio masse, rigassificatori, ecc; dai CIE (per fortuna demoliti dai migranti stessi), all’attivismo coraggioso e determinato NO TAV e NO MUOS, insieme alla creazione di vie alternative di lotta: sportelli di ascolto e aiuto, lavoro e documenti ai migranti, percorsi sulla sessualità, creazioni di orti urbani, mercatini vari, nascita di comuni agricole, filiere per la produzione e trasformazione di beni primari, quali grano, olio, vino e birra, da gustare ascoltando un recital di poesie, o l’ultimo pezzo hip hop, o ballando una taranta.

black_Il contrastare efficacemente le politiche padronali, i dettami della troika, le falsità dei partiti, implica percorsi ed incontri nuovi, avvolte inediti, nel territorio, facendo a pezzi steccati e orticelli polico-ideologici di un tempo. Ingenuità? Non credo. Certo non voglio qui negare, che permangono e sono a volte forti le differenze politiche e di metodo. La storia dei movimenti ha le sue differenti letture. Gli approcci, non si possono dare per scontati, nelle varie situazioni, sia geografiche che di settore. Passi avanti sono stati fatti lì dove ogni componente ha trovato spazio per la propria identità, dando forza all’innovazione sociale del movimento tutto. Ma ciò che è ancora più importante, circa l’azione diretta che si è data, è che essa costituisce un decisivo passo avanti verso la riconquista di quel potere individuale sulla vita sociale che le burocrazie centralizzate e soffocanti hanno usurpato alla nostra gente. Attraverso l’azione diretta, non solo riacquistiamo la sensazione di poter controllare il corso degli eventi sociali, ma acquistiamo ancora una nuova individualità e una nuova personalità, senza le quali è assolutamente impossibile realizzare una società veramente libera, fondata sull’attività individuale e sull’autogestione. L’io di ciascuno individuo come essere umano, creativo e capace con sue proprie sensibilità e carattere. Le società classiste o di massa, trovavano e hanno la base nella gerarchia, nell’obbedienza e nella dominazione, nell’essere spettatori omogenei, nell’uniformarsi alle avanguardie, nella fiducia nei guru o leader di turno, siano essi Obama, Berlusca, Renzi o Grillo.

gas1“Una società veramente libera, non reprime l’individualità, ma piuttosto l’incoraggia e la favorisce, la libera e rende attuale, poiché crede nella capacità dell’uomo, di tutti gli esseri umani, a gestire la società, e non solo a eleggere, e propri esperti o sedicenti geni. Il principio dell’azione diretta non è altro che l’allargamento del concetto di assemblea della città libera. E’ il mezzo attraverso il quale ogni individuo riscopre le energie nascoste in sé e riacquista un senso di fiducia nelle proprie capacità e conoscenze. È il mezzo attraverso il quale gli individui possono assumere direttamente il controllo della società…..è un principio morale, un ideale, una sensibilità che dovrebbe comprendere e interessare tutti gli aspetti della nostra vita, del nostro comportamento, di ogni prospettiva” (M. Bookchin)

images AL’incontro delle pratiche, nelle piazze, nelle strade, nei campeggi di resistenza in difesa del territorio, il contaminarsi attraverso l’ascolto e il fare assieme, arricchisce quel bagaglio, di conoscenze che ognuno si porta dietro, magari nella propria realtà, contribuendo a modificarne la coscienza e le prospettive nel cambio culturale e materiale, del proprio quartiere, CSOA, facoltà, ecc. L’impegno a recuperare e inventarsi la nostra identità, svilupparla, nel migliore modo possibile, è il modo più bello, profondo e soddisfacente di viversi questa vita negli anni a venire.
Orestes

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#NOTRIVDAY, Bene la prima, ma è solo l’inizio.

DSC01368Nonostante la pioggia caduta fino a poche ore prima in miglia hanno risposto all’appello #NOTRIVDAY, una manifestazione popolare, contro le trivellazioni di terra e di mare, partita dal parco Fabiana Luzzi, in Corigliano Scalo. Corteo che è proseguito sulla Via Provinciale, verso la zona marina, dove s’ingrossa verso l’approdo al Portofino di Schiavonea. Tanta la gente ai balconi e ai lati del corteo, molti gli studenti di ogni età e grado con striscionie e cartelli colorati e significativi. I contenuti sono quelli di schierarsi contro il folle progetto del governo che prevede trivellazioni sulla costa e nel mare, considerate opere molto invasive, con il reale pericolo dell’annientamento dell’ecosistema marino, colpendo la vocazione agricola, peschereccia e turistica dei territori, già di per sé a rischio sismico, che non tiene conto infine dell’alto impatto devastante sull’ambiente e quindi sulle ricadute per la salute umana dell’attività estrattiva dei carburanti fossili. Nei volantini distribuiti dalle associazioni ambientaliste nei giorni precedenti, si leggono pure alcuni SI, quelli per politiche energetiche moderne, basate sulle fonti rinnovabili, capaci di proiettare il paese verso il futuro, grazie all’autodeterminazione dei territori, seguendo le proprie vocazioni, vivendo come meglio scelgono e soprattutto, senza che la salute venga minacciata. Difatti una delle voci esprime chiaramente, “la giornata è stata importante per verificare la volontà del territorio a dire no alle scelte del governo centrale che se poste in essere, porteranno solo distruzione per il nostro eco sistema”. DSC01370

Il corteo composto da due spezzoni: uno iniziale, nel quale tutti i soggetti partecipanti, dalle istituzioni alle associazioni, sfileranno sotto l’unica insegna del Movimento no Triv Magna Grecia, un altro in coda, dove trova spazio chi vuole esprimere liberamente la propria identità di appartenenza, associativa, politica, di altro tipo. L’obbiettivo non tanto dichiarato, ma si capisce dalla piazza, era quello di chiamare i sindaci che “cercheranno subito una raccolta per un contatto con il governo Renzi per istituire un tavolo di confronto e portare anche a Roma le ragioni del no alle trivellazioni e contro il decreto Sblocca-Italia, per come è stato concepito, dagli scopi alle modalità. In coda la corteo, invece, s’inchioda la politica istituzionale alla proprie responsabilità, perché se è vero che la deputazione calabrese è stata riconosciuta responsabile di aver votato lo Sblocca Italia, è anche vero che quelle stesse istituzioni locali e regionali, non hanno ottemperato alle 4 istanze di VIA a cui la Regione Calabria deve dare parere contrario entro il 31 marzo 2014, prima che entri in vigore lo Sblocca Italia. In questa finestra ci si poteva infilare se concretamente si voleva bloccare lo scempio.DSC01356

Il decreto del governo Renzi, da qualche mese è una realtà con cui fare i conti, esso infatti favorisce le estrazioni petrolifere dai sottosuoli, marini e non solo, considerando ogni opera in tal senso come “strategica”, permettendo agli appetiti delle multinazionali del settore di mettersi in moto e tutto lo specchio d’acqua del golfo di Taranto è a rischio trivelle. Diverse sono le imprese, come la della Rockopper, azienda inglese che è riuscita ad ottenere un declassamento geologico di un area della basilica da R4 ad area di bonifica, la Global Med Llc, è il colosso petrolifero che ha ottenuto un permesso di ricerca nelle acque antistanti Amendolara ed entro tre anni partirà la perforazione per il pozzo esplorativo nell’Alto Tirreno cosentino, l’Appenine energy spa, per l’estrazione davanti alla sibaritide, ma alla fine sono tutte compartecipate dalle le grosse sette sorelle.

Questa prima, piccola, ma significativa manifestazione è solo l’inizio, servirà, molto impegno, per fermare realmente, l’ennesima devastazione della terra calabra e dei sui mari, ricordiamo la storia della nave dei veleni, magicamente fatta scomparire dalla Prestigiacomo e Berlusconi, servirà la stessa unione di allora, di tutte le genti calabre, delle associazioni, ambientalistiche, turistiche, di agricoltori, senza piegarsi alle istituzioni, a qualche velleità di fazione, per non andare incontro ad un uguale sconfitta politica, occorrerà tanta lucidità, onestà e voglia di osare.

Non bisogna dividersi per 4 antiumani di FN, che rappresentano l’indifferenza e l’ostilità verso un territorio che vive grazie anche alle braccia dei migranti di ogni dove, lavorando nell’agricoltura della piana, nè cadere nelle trappole delle questura, col suo giochino di dividere il corteo fra buoni e cattivi, le facili strumentalizzazioni, sono utili solo alle multinazionali, amiche del governo e non di chi vive e lavora nel golfo di Corigliano.

Lo Sblocca-Italia apre conflitti di interesse, fra l’ambito dei poteri riconosciuti, di incidere su interessi di enti e comunità locali. Non vi sono valori superiori al diritto di vivere bene in un luogo e di gestire la propria esistenza in un rapporto qualificato con il sistema naturale e sociale in cui si svolge. Quando il prelievo di una risorsa, la trasformazione di un’area, la costruzione di un infrastruttura danneggia l’equilibrio di un territorio, e peggiora quindi le condizioni di vita delle persone che compongono la comunità, esso non va attuato e va bloccato.

                                                                                                                                                Orestes

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Boiardi di stato, Ercole Incalza. Quando la corruzione è sistema.

Sembrerebbe proprio un film, o una mini serie, una telenovella, col vecchiaccio di 71 anni, incollato alla poltrona, di cui proprio non si riesce a far a meno, che manco la pensione porta via, uno di quelli che contano tanto, capaci di far il bello e il cattivo tempo, anzi è la garanzia che il tempo sia sempre quello giusto. L’inchiesta “sistema” che vede al centro Ercole Incalza il megadirettore delle grandi opere incompiute, inutili e devastanti, dei lavori finanziati, mai partiti, ma soprattutto mai finiti. Con quell’1-3 per cento di maggiorazione sui lavori, alla fonte. Come i costi che lievitano, insieme alla corruzione. È successo ancora, e succederà ancora. La corruzione in Italia vale 60 miliardi, una cifra indicata in documento della Corte dei Conti. Anche se questa cifra, è solamente una stima, una misura approssimativa. Per altre stime è il doppio. In un suo rapporto, la Commissione Europea nota che secondo un recente sondaggio, per il 97% degli interpellati in Italia, considera che la corruzione è diffusa nel loro Paese (la media europea è del 76%). Il 92% delle imprese italiane crede che il favoritismo e la corruzione ostacolino la libera concorrenza. Curioso che solo il 2% degli interpellati ammette di essere stato oggetto di richiesta di di una tangente nell’anno precedente il sondaggio. Può essere che la risposta è influenzata dall’imbarazzo di ammettere la verità, nonostante l’aumento quasi coatto delle partite Iva fatte aprire a molti precari. Dal rapporto emerge che la corruzione non riguarda solo il settore pubblico, ma anche quello privato. L’Italia non ha ancora pienamente trasposto una direttiva europea per lottare contro questo fenomeno, ha un sistema di contabilità societaria che non rispetta la Convenzione penale contro la corruzione del Consiglio d’Europa. La Commissione non ne parla, ma dietro al fenomeno della corruzione si nasconde in Italia il clientelismo in un ambiente economico e un sistema sociale poco trasparenti. Per Transparency International, tra i paesi del G20 l’Italia si colloca oltre la prima metà della lista, peggiori solo Brasile, Cina, India, Argentina, Messico, Indonesia e Russia.

L’inchiesta conferma che il reale problemi di Renzi è la riforma dello stato. Il Matteo piè veloce, non c’ha pensato tanto a scaricare l’integerrimo Lupi, padre premuroso, che vuole solo il meglio per il suo figliolo (mica poteva fare la gavetta col fondo “garanzia giovani” come uno sfigato qualsiasi, un ingegnere tal quale, sia pure della Bocconi!). La palese responsabilità politica di Lupi, per ora non vi sono fatti specifici, né riscontri oggettivi ascrivibili alla condotta dell’ormai ex ministro, è una buon occasione per riequilibrare la maggioranza a suo favore, rafforzarne il consenso, ridimensionare il ruolo, la parte del NCD, del sempre più traballante Alfano. Certo rimane la spinosa questione dei magistrati “bacchettati” e dei corruttori “accarezzati”, dalle politiche della maggioranza. Da parte nostra non vogliamo certo la galera per nessuno, nessuno giustizialismo claustrofobico, verrà mai da queste colonne, ma le dimissioni di tutte le funzioni e funzionari, non solo dei corrotti, rimane uno dei punti fermi delle richieste politiche che gli anarchici portano avanti da sempre. Come la rotazione degli incarichi, la sola trasparenza veramente efficace contro la corruzione endemica, di un sistema che non può prevenire mele marce, ma solo crearne di nuove, perché marcio fin dalla radice. Ancora, alla base di tutto rimane la malsana idea che le grandi opere siano, restino, il volano della ripresa, lo “Sblocca Italia”, sta lì a dimostrarlo, non le reali esigenze dei territori. Perché se è vero come egli stesso ha affermato, che Lupi è colui che ha portato avanti lo Sblocca Italia, alla luce di quanto emerso c’è da chiedersi, se non fosse solo retorica anche ciò, a chi giovano, al reale sviluppo dei territori? Le lotte ambientali degli ultimi anni, hanno fatto emergere, che esiste un grumo nero, fra aziende e politica istituzionale, che decide sulle vite e i territori. Opere faraoniche, cementificazione selvaggia, nuove strade, di sicuro, quindi alle imprese, agli interessi che la politica istituzionale difende e nasconde, al consenso attraverso le clientele. Ercole Incalza ha tenuto Lupi, non è Lupi che ha dato il ben servito al vecchiaccio incollato alla poltrona ed a tutto il suo sistema di potere, alla struttura da lui creata in decenni di gestione. La statalizzazione della società ha favorito lo strutturarsi e l’affermarsi dei privati interessi di un ceto politico allargato sino ai vertici burocratici e ai boiardi di stato ed una riduzione della politica a tecnica della gestione dell’esistente. La richiesta di sempre nuove concessioni è per creare nuove clientele, ed è diventata una spirale insostenibile per l’equilibrio di un sistema capitalistico efficiente. Intorno all’intervento pubblico nell’economia si è creata una vera e propria borghesia di stato ed una corrispondente classe media che vivono e prosperano grazie al controllo della spesa pubblica a all’occupazione di ruoli di potere ad essa connessi. La salute di intere popolazioni è minata da ogni genere d’insediamento, anche se improduttivo, con un lascito di terreni incoltivabili, allevamenti impossibili, equilibri biologici ormai compromessi per sempre.

Tutti sanno benissimo cosa sia la corruzione, dove si annida, come si sviluppa, è palese ormai che se non c’è la possibilità di avere dei servizi è dovuto alla corruzione. Se ogni cosa costa dieci volte quanto dovrebbe costare ciò è dovuto alla corruzione, come pure trovare o meno un posto di lavoro. È possibile che restino solo gli anarchici a ricordarlo? Qualcuno anche nella sinistra dei movimenti vagheggia di partecipazione pubblica. Ricordo che “Non si può parlare di partecipazione pubblica senza parlare di uguaglianza, di giustizia sociale e ambientale, di libertà e felicità. Si tratta di decidere di sé, della propria vita per conto proprio e di decidere collettivamente di quel territorio, materiale e immateriale, reale e metaforico, che abbiamo in comune con tutti gli altri, dal locale al mondo intero.” E la questione determinante è trovare metodi di decisione e dibattito capaci di coinvolgere chi solitamente non ha voce in capitolo.

Orestes

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Dal basso…o niente! Genuino Clandestino & Fiera della Decrescita

lo Sfuso-RC-okDomenica 25 gennaio a Reggio Calabria, nel parco del CSOA Angelina Cartella si è svolta, come ogni fine mese, la consueta Fiera della Decrescita. Ma l’appuntamento di ieri è stato particolare, all’interno del mercato infatti, si è tenuta un’assemblea con gli altri produttori calabri, dell’agricoltura, pastorizia ed artigiani che fanno riferimento alla Rete Nazionale Genuino Clandestino. Dopo un primo incontro di conoscenza in occasione della presentazione del libro su Genuino, questa è stato il primo momento di piazza, di confronto e scambio vero su diverse tematiche. Nel mentre c’è chi con l’Expo 2015, tenta di appropriarsi delle nostre pratiche, di cooptare il nostro linguaggio, di comprare il consenso e la connivenza di tanti, politicanti e main stream; in una regione DSC01270 dove di produttori con una sensibilità per il cibo di qualità in
relazione da anni, combattono contro le speculazioni sui territori per preservare la genuinità dei prodotti agricoli
, forse si è giunti ad un punto di svolta. Non era scontato infatti che storici produttori s’incontrassero e confrontassero con nuove forze, altre speranze, di un ritorno alla terra, vista si come esodo e capacità progettuale. La giornata è passata dall’accoglienza, al mercato, fino al momento assembleare.
La prima parte della mattinata protagonista è stato il mercatino espositivo, con l’incontro dei consueti frequentatori della Fiera
della decrescita, in attesa degli arrivi degli altri produttori dalle diverse località calabresi, per permettere ai partecipanti di provare a coprire le spese di viaggio, conoscersi meglio attraverso i prodotti, lavorati con il caratteristico amore verso la terra e non solo per trarre profitto economico. Lo scambio di esperienza, sul come trattare lo sfuso, cioè la vendita al dettaglio degli alimenti genuini ovvero di prodotti (senza veleni e concimi chimici) liberi da imballaggi usa e getta, liberi dalla plastica, la onni presente autocertificazione partecipata, la conservazione del secco e del fresco, metodi per il trasporto e la conservazione dei cibi, comunicazioni ben gradite dai non pochi intervenuti, considerate le condizioni proibitive del tempo. L’assemblea iniziata in tarda mattinata è stata interrotta da un buon pranzo preparato dagli attivisti del CSOA Cartella, Jammy e Lorè, in quest’occasione, su richiesta, tanti piatti di osservanza strettamente vegetariana. La discussione è ripresa con la parte più DSC01266 interessante, a mio giudizio, rispetto alla proposizione critica o affermativa della mattina, con la parte dedicata alle progettualità. Molto apprezzato l’intervento di Mario della Rete Utopie Sorridenti di Cosenza, con l’esposizione del progetto “il seme che cresce”, in cui tutta la filiera del grano è stata ricostruita, dai diversi tipi di grano, alle farine, alla pasta fresca o secca in vari formati. Un progetto che ha visto: valorizzare le energie dei produttori, che non svendono più il loro grano ad un prezzo imposto dal grossista, (pagato circa il doppio e più soddisfazione per il contadino), la conservazione in un magazzino creato dalla Rete Utopie attraverso raccolta fondi dai propri gasisti e simpatizzanti, per poi venire man a mano trasformato, per la produzione di ottima pasta e pane, dal sapore incomparabile con la produzione industriale che si ritrova nei supermercati. Una dimostrazione concreta di quel piccolo e bello che è la migliore risposta alla produzione di massa in cui si nasconde l’orribile sfruttamento e gli altri cavalieri dell’apocalisse che stanno distruggendo il pianeta, devastazione dei territori, delle risorse idriche, avvelenamento degli ecosistemi, tumori e malattie allergeniche varie, anche per gli utilizzatori finali umani. Quest’esperienza piccola, ma che ha raddoppiato solo in un anno i suoi numeri è la migliore risposta alle perplessità sulla produzione dal basso espresse da Lorcon, in un precedente articolo comparso su Umanità Nova. Altro intervento molto dibattuto è stato quello di Lorena, della Piattaforma Sovranità Alimentare, in Valencia, a dimostrazione di come anche a km distanza vengono dibattute le stesse questioni e si trovano paradossalmente, (ma perché no?) le stesse soluzioni, cioè pure in Calabria si stava pensando quello che già viene attuato in Valencia, ossia la creazione di un marchio cittadino, di un logo si discute nel nostro estremo sud, che possa tutelare, differenziandosi, la piccola autoproduzione da quella grande, ed anche con una protezione e presentabilità da un punto di vista commerciale, che però non vada a condividere gli stessi scaffali e percorsi della grande distribuzione. Un marchio non pensato per andare ad accrescere ed implementare la già lunga lista di certificazioni locali a pagamento, ma che, sull’esempio di Genuino Clandestino, (molti sono quelli che confezionano i loro prodotti con il logo di Genuino Clandestino) sia sinonimo di qualità, serietà, autoproduzione, difesa del proprio territorio e delle conoscenze che da secoli vi albergano. Questa sorta di etichetta libera potrebbe poi portare in seguito anche alla nascita di piccole botteghe autogestite disseminate nel territorio, proprio per evitare i canali della grande distribuzione o quei negozietti tanto “bio” ma poco “clandestini”. Una prospettiva interessante, che andrebbe ad incidere positivamente in un tessuto in cui chi fa autoproduzione si sente isolato e attaccato da una sempre più pressante legislazione agroalimentare che ormai taglia fuori chi non accetta di piegarsi e di svendersi alla grande distribuzione. Altro punto focale emerso dalla discussione è la creazione di un laboratorio collettivo di trasformazione, solo in questo modo si possono auto-sostenere quei contadini che intendono e vogliono continuare ad essere tali. 18863_108672289147338_100000137016832_228304_7021030_n Il fondamento di tutti percorsi e delle pratiche agricole, di trasformazione rimane comunque la critica al modello proposto, la conflittualità con chi avvelena i territori, chi specula nei passaggi commerciali, lo sviluppo di reti basate sul mutuo appoggio e l’autogestione dei mercatini e degli spazi, eventualmente anche riuscire ad arrivare al bancone dei piccoli alimentari in cui è ancora possibile ritrovare al genuinità e i sapori della nostra terra. I segni dell’incendio doloso al CSOA Angelina Cartella, sono quasi scomparsi, la ristrutturazione, manca poco, è al termine, si naviga verso nuove e alte sfide. Orestes

 




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La casa è di chi l’abita 2

Riprendendo il comunicato “La casa è di chi l’abita” del maggio scorso della Fucina Anarchica di Cosenza, sullo sgombero avvenuto nella cittadina della Calabria citeriore, non possiamo che essere preoccupati e solidali con gli/le abitant* delle Canossiane.
10403136_356727947832733_6030921414372214106_n Ancora una volta lo stato, con le sue forze in manganelli e caschi minaccia chi, in evidente stato di bisogno ha pensato bene di autogestire i propri bisogni. Le Canossiane sono diventate in quest’anno e mezzo, la casa, il ricovero degli affetti di migranti e precari senza casa, che pagano più di tutte/i pagano il peso della crisi. Un edificio vuoto e in disuso, ha dato finalmente un tetto a chi non c’è l’ha. Un’azione di riappropriazione dal basso, ne ha fatto un luogo di socialità, risposta concreta ad un bisogno primario, in netta contrapposizione alla carità di facciata di larga parte del clero. Una crisi che non è solo economica, ma come è evidente dalle politiche di Renzi, del PD e dei vari potentati Europei, di prospettive sociali per chi non appartiene alla casta collusa e non più rispettosa di qualsiasi patto costitutivo del vivere civile. Stiamo assistendo fra disoccupazione e disservizi, ad un erodersi delle garanzie, delle tutele, di chi occupa i gradini più in basso della società piramidale. Nel sud le scelte scellerate rendono ormai impossibile la vita, alla disoccupazione strutturale si accompagna lo smantellamento dei servizi già sottodimensionati, precari ed inefficienti. La logica di dare delle regole al mercato, di costruire un alternativa all’interno dell’attuale assetto sociale gerarchico con un capitalismo dal volto umano e forme di democrazia partecipativa si è dimostrata una chimera. L’ottica concertata che mirava ad una più equa distribuzione delle ricchezze è stata funzionale a foraggiare apparati burocratici e partitici. corteo Nella Canossiane invece si può incontrare il sorriso e la soddisfazione di una vita ricostruita, di fratellanza vera, contro il razzismo e la diffidenza seminata dai fascio leghisti e dal mainstream, di bambine/i che giocano senza sapere (e perché poi, a quale nazione si appartiene). Questa è la società che vogliamo non solo multietnica, lo è già, ma interetnica e libera di discutere e affermare i propri bisogni, le sue aspirazioni di riconoscersi come esseri umani. Chiediamo a tutt* di raccogliere l’appello del Comitato Prendo Casa, di schierarsi contro la mala politica, sostenerne la pratiche, per l’apertura di un tavolo sull’emergenza abitativa per affrontare la questione in maniera costruttiva e risolutiva piuttosto che emergenziale, discussione che non deve rimanere in camera caritatis, ma fatta pubblicamente.

LA CASA È DI CHI L’ABITA, È VILE CHI LO IGNORA, BASTA SFRATTI E SGOMBERI!

Anarchiche e Anarchici Calabresi

Gruppo Eco Sociale Malatesta Cosenza*

*c/o Fucina Anarchica Cosenza

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Sbarco a Corigliano. Umanità cercasi

DSC01222La nave Bruno Gregoretti della guardia costiera sabato sera alle 23,50 attracca al porto di Corigliano Calabro. A bordo vi sono 467 migranti raccolti nel canale di Sicilia, al largo di Lampedusa dove navigavano su cinque gommoni e un barcone. Uomini donne e bambini, per lo più giovani, profughi da varie zone in guerra come l’Eritrea e la Siria, fuggiti per cercare un futuro migliore, dal Mali e dal Senegal. L’ennesima disgrazia del mare è evitata, ma quei volti stanchi, infreddoliti, scioccati, pongono delle domande sulle modalità di questi salvataggi, sulla gestione dell’accoglienza. Innanzitutto viene da chiedersi come mai, il viaggio, dal salvataggio in mare a Corigliano avviene pure quello in una modalità di sofferenza e disaggio. A bordo sono stivate pigiate l’un l’altre/i, compreso 39 minori e 6 donne incinta, una con perdite di sangue. Riesce difficile pensare se siano stati più fortunati quelli in coperta al freddo o pigiati nel sottostante ponte. Le operazioni di sbarco durano ore, a dieci o quasi, alla volta passano la passerella e subito il controllo della temperatura. Prima i malfermi, molti in ipotermia, qualcuno febbricitante. Nonostante le affermazioni del prefetto di Cosenza e della stampa accreditata, sul funzionamento della macchina dell’accoglienza forti sono le perplessità su un dispiegamento di uomini armati, un dispositivo di sicurezza di vari furgoni di celere, carabinieri, guardia di finanza, cani antidroga, vigili del fuoco atti ad “accogliere” uno spicchio di umanità in fuga! Mai vista tanta grettezza da parte di polizia, operatori sanitari, che hanno inteso effettuare le operazioni di accoglienza bardati di mascherine e guanti di lattice fino. DSC01233 Gli occhi dei migranti sulla fregata erano increduli e sbigottiti, impauriti, mentre interminabili proseguivano le operazioni di attracco. Oltretutto i giornalisti stavano dietro una serie di transenne, lontani decine di metri dalle persone che venivano portate a terra. Viene da chiedersi se davvero non si considera lesivo della dignità delle persone questo tipo di accoglienza. Una massa di zotici che per sentirsi protagonisti indossano oggetti atti a creare una barriera tra le persone, privando l’azione di aiuto di qualsiasi connotato “umano”. I bambini che stavano a bordo della nave i quali, dopo un viaggio massacrante in alto mare, dopo essere sfuggiti alla violenza e alle bombe, accolti dal “civile” occidente da centinaia di mostri mascherati, accecati dai flash di avvoltoi bardati fino agli occhi, mani di plastica prive di ogni calore umano! Certo, si dice che vi siano alcuni casi di scabbia, veri o presunti che siano, viene da chiedersi quanti dei presenti entreranno davvero in contatto coi migranti? Anche questa è barbarie! La vera umanità la mostrano loro, i migranti. Dopo il primo controllo, appena fuori dal molo attracco, qualcuno piange, pochi i sorrisi, solo chi proviene dalla Palestina e dalla Siria, con più energia evidentemente. Chi proviene dall’Eritrea è malfermo, magro, debilitato, uno sembra cadere, anzi no, s’inginocchia e bacia l’asfalto. Nel proseguo passa dal gazebo ristoro, per una cioccolata calda e riceve una sacchetto con dentro frutta, arance e clementine della zona, brioche e panini col formaggio, panettone, acqua. Poi sempre un po’ alla volta nelle tende, finalmente i visi contratti si rilassano, cominciano a chiacchierare fra di loro, qualcuno ritorna indietro con più fiducia verso le tende dove stanno i dottori, fra croce rossa e pronto intervento, per lamentare vari malanni. La maggior parte sono scalzi, le attraversate sui gommoni avvengono senza calzature, per risparmiare peso, sono quelle/i senza bagaglio e solo con i propri indumenti. Poveri e pochi bagagli, comunque lasciati sulla fregata. Infine avviene l’identificazione, la divisione negli autobus verso “centri d’accoglienza nel centro nord, finanche in Lombardia. Chissà se Salvini e Moroni sono stati avvisati. Qualcuno dei fantasmi in tuta bianca che gestisce l’accoglienza, parla con gli altri dice che rischia di finire la roba da mangiare e che vi sono diversi problemi. DSC01234

La poderosa macchina dell’accoglienza, non ha mediatori culturali, pochi e improvvisati, grazie alla solidarietà delle deboli, ma presenti strutture antirazziste, con persone di madre lingua solidali da diverso tempo sul territorio, arrivati spontaneamente al porto di Corigliano. Il sindaco (di destra) della cittadina che già all’arrivo del primo mercantile, trainato da rimorchiatori nei giorni scorsi, aveva espresso le sue rimostranze, fin anche a minacciare di chiudere il porto, oggi afferma che l’accoglienza e le migrazioni sono un problema dello stato e dell’Europa che deve dare un adeguato apporto. Finché il riconoscersi dell’umanità avverrà attraverso mascherine e divise non vi sarà nuova umanità.

Orestes

in uscita su Umanità Nova, n. 1 anno 95 18 Gennaio 2015

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#Renzi stai sereno. Sbrocca Italia dai 4 comitati

renzi gelato Il decreto Sblocca-Italia è legge. Convertito definitivamente in legge dal Parlamento il 5 novembre scorso, è un autentico “mostro” politico e giuridico, che tradisce lo spirito neoliberista che anima l’azione del Governo in carica ennesima prova – semmai ce ne fosse bisogno – che il Parlamento è ridotto a mero simulacro della democrazia. Il Senato ha votato la fiducia al testo modificato alla Camera, senza poter esaminare il decreto. Quarantacinque articoli su edilizia, infrastrutture, ferrovie, appalti, bonifiche, dissesto idrogeologico, cassa in deroga e altro ancora. Un intricato e ambizioso decreto legge 133/2014. Approvato dal governo a fine agosto e pubblicato in gazzetta il 12 settembre scorso, doveva essere convertito entro l’11 novembre. Se così non fosse stato il testo avrebbe perso efficacia di legge. Esso apre ad un modello di sviluppo economico non più sostenibile. Speculazione edilizia, corruzione, inceneritori, inquinamento, trivellazioni, progressiva dismissione del patrimonio pubblico: questo è il futuro che ci attende! Il lungo passaggio alla Camera, il contrasto al Dl delle opposizioni, le necessarie modifiche apportate dopo le numerose correzioni richieste della commissione Bilancio e della Ragioneria generale dello Stato, hanno rallentato i lavori. Per la fretta, però, scrive Giuseppe Latour su Edilizia e Territorio non sono stati accolti alla Camera alcuni rilievi della Ragioneria: così ci sarebbero alcune norme traballanti sotto il profilo dei conti pubblici: ad esempio, in materia di deroghe al patto di stabilità per le bonifiche. Non sono stati esaminati i 912 emendamenti presentati. L’obiettivo dichiarato è quello di sburocratizzare e “sbloccare” il Paese nei più disparati settori. Sono stati ascoltati decine di enti e associazioni, e prodotti in commissione Ambiente della Camera 2200 emendamenti (poi ridotti a 700) al testo. Numeri che dimostrano i tanti conflitti e questioni sollevate da un testo di legge, che ha avuto un forte riscontro sul territorio nazionale. Matteo Renzi a luglio aveva promesso che con lo Sblocca Italia sarebbero stati sbloccati 43 miliardi per il 1 settembre. Passati due mesi, i numeri però si sono sgonfiati, arrivati all’approvazione del decreto i soldi trovati e destinati a grandi “opere cantierabili in date certe” sono 3,9 miliardi. Soldi che «però – annota Confindustria durante la sua audizione in Parlamento – generano una complessiva disponibilità di soli 65 milioni nel biennio 2013-2014 e 390 milioni nel biennio 2015-2016, ma di ben 3,4 miliardi dal 2017 in avanti». A queste considerazioni si aggiungono quelle dei tecnici del servizio Bilancio della Camera che hanno chiesto al governo come intenda far fronte alle coperture delle spese, essendo state utilizzate «risorse inerenti opere infrastrutturali strategiche già approvate». Sommando le previsioni tra i diversi progetti, si ottiene che ben il 47% andrà a strade e autostrade, il 25% a ferrovie e solo l’8,8% a reti tramviarie e metropolitane». Lo Sblocca-Italia apre conflitti di interesse, fra l’ambito dei poteri riconosciuti, di incidere su interessi di enti e comunità locali, in particolare il comma 4, in cui viene stabilito che nelle decisioni da prendere, in caso di dissenso da parte di un’amministrazione pubblica, l’ultima parola spetta al Commissario straordinario. Per il presidente dell’anticorruzione il rischio è che in questo modo si «verrebbe a creare un commissariamento di scelte politiche locali da parte dell’amministratore di una società per azioni, anche se pubblica». L’obiettivo che si pone lo Sblocca Italia, attraverso deroghe, dei cantieri riaperti e semplificazioni è portare a termine più velocemente i lavori e per raggiungerlo sono previste deroghe al codice degli appalti e semplificazioni delle procedure concorsuali. In questo modo, però, il rischio è di abbassare i livelli di trasparenza e di lotta alla corruzione. Questa tra le più grandi preoccupazioni mostrate dagli enti e associazioni in commissione Ambiente alla Camera nel mese scorso. telesio no tavIl provvedimento introduce per tutti gli interventi che rientrano nella definizione di “estrema urgenza” – e che riguardano la messa in sicurezza degli scolastici, la riduzione dei rischi idraulici e geomorfologici, l’adeguamento della normativa antisismica, la tutela ambientale e del patrimonio culturale – la possibilità di usufruire di «ulteriori disposizioni di carattere acceleratorio per la stipula del contratto, in deroga a quelle del Codice e permette alle imprese coinvolte nei lavori di non dover fornire alcuna garanzia a corredo dell’offerta, tale disposizione potrebbe portare gli operatori economici a non rispettare gli impegni assunti, senza subire per questo alcun danno. Un altro aspetto poco chiaro (al comma 2, lettera d) sta nella possibilità di avviare “procedure negoziali” senza dover pubblicare un bando, invitando almeno 10 operatori economici, anche per importi molto elevati (l’attuale soglia comunitaria è infatti di 5 milioni e 800 mila euro). Misure urgenti anche per patrimonio culturale e ambiente, la cosa più preoccupante è la trasformazione «della deroga in regola». L’Articolo 25 (al comma 3) consentirà «ai Comuni di rilasciare l’autorizzazione edilizia in aree sottoposte a vincolo paesaggistico anche in assenza del parere della Soprintendenza, al momento, invece, vincolante», o l’articolo 26 che facilita il recupero degli immobili non più utilizzati del patrimonio pubblico (caserme, scuole e palazzi) semplificando la procedura per determinare la loro diversa finalità d’uso», ma prevedendo «che questa sia stabilita nell’ambito di trattative ‘private’ tra enti», con la chiusura «della partecipazione e al dibattito e non garantendo la trasparenza». Si allargano le maglie del patto di stabilità interno per i Comuni, ma si restingono per le Regioni. Da una parte si favorisce l’aumento della spesa degli enti locali (+250 milioni di euro), dall’altra però per settori fondamentali come il diritto allo studio e il lavoro dei disabili si richiama al risparmio (-500 milioni). Gli articoli in questione sono il numero 4 e il 42. Nel primo lo Sblocca Italia ha previsto che i pagamenti relativi alle opere segnalate dai sindaci, in risposta alla lettera del presidente del Consiglio, sono esclusi dal patto di stabilità, entro limite di 250 milioni di euro il 2014. L’articolo 42 invece stabilisce che “le regioni si impegnano a realizzare misure di razionalizzazione e contenimento della spesa che permettano un risparmio complessivo di 500 milioni di euro”. Risorse recuperate sospendendo l’esonero dal patto di stabilità interno di diverse voci che colpiscono soprattutto l’istruzione. Il che significa, che non ci sarà più l’obbligo di vincolo per la destinazione dei fondi. stop Nel mirino ci sono appunto i 150 milioni per le borse di studio universitarie, i 100 milioni per le scuole paritarie (sui 220 complessivi), gli 80 milioni per i libri di testo e i 15 milioni per il sostegno agli studenti disabili. A rischio c’è l’erogazione di circa 48.214 borse di studio (l’importo medio di una borsa lo scorso anno è stato di 3360 euro). Un’enormità se si pensa che già oggi siamo fanalino di coda nell’Ue: nel 2013 l’Italia ha erogato solo 141.310 borse, contro le 305.454 in Spagna, le 440.217 in Germania e addirittura le 629.115 della Francia. Queste riduzioni di spesa hanno provocato le proteste degli studenti che sabato 10 ottobre sono in scesi in tutta Italia gridando «tagliare i fondi non è una buona scuola».

1896932_10152251262151203_328694713_n Altra questione cruciale in cui si preannunciano forti battaglie svincolata nello Sblocca-Italia è quella sugli inceneritori. Nell’articolo 35 del decreto, infatti, al governo viene consentito di individuare “gli impianti di smaltimento dei rifiuti urbani o speciali, esistenti o da realizzare per attuare un sistema integrato e moderno di gestione di tali rifiuti“. Le regioni con più inceneritori nel proprio territorio (Piemonte, Emilia Romagna, Lombardia e Veneto) hanno chiesto lo stralcio dell’articolo. Nel testo si legge che “negli impianti deve essere data priorità al trattamento dei rifiuti urbani prodotti nel territorio nazionale” e ”autorizzati a saturazione del carico termico (ndr, cioè portati alla capacità massima). Il risultato è la caduta delle quote di bacinizzazione regionale e l’arrivo dei rifiuti da bruciare da tutta Italia, con il rischio qualità dell’aria nel territorio. L’intera procedura, inoltre, prevede il dimezzamento dei termini previsti “per la valutazione di impatto ambientale e l’autorizzazione ambientale degli impianti“. L’articolo 35 è stato poi modificato, comprendendo una maggiore partecipazione degli enti locali coinvolti. L’ultima decisone spetta però ancora al ministero dell’Ambiente. Al comma 6 viene confermata la possibilità che nelle regioni con più impianti ci sia il “trattamento di rifiuti urbani prodotti in altre regioni“, ma la priorità viene data a quelli prodotti nel proprio territorio “fino al soddisfacimento del relativo fabbisogno“. Con il comma 7 viene previsto un contributo di 20 euro che ”i gestori degli impianti sono tenuti a versare alla regione“ per ogni tonnellata di “rifiuto urbano indifferenziato di provenienza extraregionale“. La Lombardia (maggiormente coinvolta), che ha presentato a settembre un ricorso alla Consulta contro il decreto, si è opposta all’arrivo di rifiuti da smaltire nel proprio territorio. Aumenta l’estrazione per “aumentare la sicurezza delle forniture di gas” e per “valorizzare le risorse energetiche nazionali” il decreto concede il carattere di “interesse strategico” e di “pubblica utilità” – con semplificazioni e incentivi annessi – ai gasdotti, rigassificatori, alle infrastrutture della rete nazionale di trasporto del gas naturale (come il Trans-Adriatic-Pipeline (Tap) in Puglia) e alle coltivazioni di idrocarburi e di stoccaggio sotterraneo di gas. Il risultato è il raddoppio di estrazione di petrolio e gas. L’accusa a questi provvedimenti è di concedere lo sfruttamento di terra e mare a favore delle multinazionali del settore. L’effetto dell’articolo 37 sarà quello di una enorme bolla speculativa del gas, nascosta dietro la solita motivazione emergenziale, che porterà non già ad aumentare la sicurezza di approvvigionamento, ma a moltiplicare le infrastrutture senza una valutazione a monte delle necessità e delle priorità. Lo scorso agosto Matto Renzi, durante la presentazione delle linee guida dello Sblocca Italia, aveva elencato i numeri del progetto per sviluppare le risorse geotermiche, petrolifere e di gas naturale, la disciplina di semplificazione energetica, in particolare nella parte concernente la regolamentazione in merito alle attività estrattive di idrocarburi, al fine di coinvolgere, formalmente e sostanzialmente, un coinvolgimento di Regioni ed enti locali. Inoltre, e anche attingendo al petrolio presente nel sottosuolo, concentrato soprattutto in Basilicata, uno dei territori maggiormente coinvolti dal provvedimento, con cittadini e associazioni in mobilitazione, il totale delle riserve certe nel nostro Paese verrebbe consumato in appena 13 mesi.  PRESIDIO

L’articolo 17 del testo presenta “misure per il rilancio dell’edilizia” che prevedono l’estensione dell’accezione di manutenzioni straordinarie, i permessi di costruire anche in deroga agli strumenti urbanistici e i contributi per il rilascio dei permessi. Chi costruisce un nuovo quartiere può realizzare stralci funzionali invece dell’intera urbanizzazione, determinando un impatto negativo sui bilanci dei Comuni. L’Anci, inoltre, si è espressa negativamente riguardo l’articolo 33 che introduce una nuova procedura amministrativa straordinaria per le bonifiche ambientali e la rigenerazione urbana delle aree di interesse nazionale. La norma, infatti, scrivono i Comuni «esautora il ruolo degli Enti locali, i quali in nessuna fase potranno esprimersi in merito alla realizzazione degli interventi». Accelerazioni e sburocratizzazione che, scrivono vari commentatori critici, va a discapito della partecipazione dei territori. Ecco perché l’articolo 24 – “misure di agevolazione della partecipazione delle comunità in materia di tutela e valorizzazione del territorio” – che consiste in “pulizia, manutenzione, abbellimento di aree verdi, piazze o strade” tramite esenzioni o riduzione tributarie da parte del Comune inerenti al tipo di attività svolta. Non più una comunità che si fa carico del proprio territorio, ma solo singoli che si occupano del decoro del proprio habitat, in base a uno scambio meramente economico.18863_108672289147338_100000137016832_228304_7021030_n

Dalla nostra non possiamo che ribadire e lo continueremo a fare nelle lotte con i vari comitati, (non sono 4, #Renzi stai sereno) che solo le comunità possono conservare e migliorare la qualità ambientale del proprio territorio ed il benessere degli individui che la compongono. Tale capacità, o diritto, è una priorità assoluta, indiscutibile, non barattabile con alcun tipo di interesse, istituzionale o privato, nè compensazione economica che tenga. Non vi sono valori superiori al diritto di vivere bene in un luogo e di gestire la propria esistenza in un rapporto qualificato con il sistema naturale e sociale in cui si svolge. Quando il prelievo di una risorsa, la trasformazione di un’area, la costruzione di un infrastruttura danneggia l’equilibrio di un territorio, e peggiora quindi le condizioni di vita delle persone che compongono la comunità, esso non va attuato e va bloccato.

Orestes

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Rapporto SviMez, I numeri dello sfacelo

Tra le principali economie industrializzate, l’Italia è fra le più lente a recuperare a causa della crisi di competitività che la colpisce da oltre dieci anni.

Nel 2013 il Pil è crollato nel Mezzogiorno del 3,5%, aggravando approfondendo la flessione dell’anno precedente (-3,2%); per il sesto anno consecutivo il Pil del Mezzogiorno registra segno negativo, a testimonianza della criticità dell’area.

La Calabria si conferma la Regione più povera d’Italia con un Pil pro capite che nel 2013 si è fermato a 15.989 euro a livello nazionale, il Pil è stato di 25.457 euro, risultante con una media tra i 29.837 euro del Centro-Nord e i 16.888 euro del Mezzogiorno.

suditaliaLa nuova flessione riporta il numero degli occupati del sud, per la prima volta nella storia a 5,8 milioni, sotto la soglia simbolica dei 6 milioni; il livello più basso almeno dal 1977, caso unico in Europa, l’Italia è un Paese spaccato in due sul fronte migratorio: un Centro-Nord che attira e smista flussi al suo interno e un Sud che espelle giovani e manodopera senza rimpiazzarla. Le migrazioni dal Sud al Centro-Nord hanno perso la connotazione di massa come negli anni ’50 e ’60 e hanno assunto caratteri più selettivi.

Per le nuove generazioni del Mezzogiorno sono sbarrate le porte d’accesso al lavoro, la durata della disoccupazione si è allungata, così come la transizione scuola-lavoro, un presente incerto fatto di emigrazione, lunga permanenza in uno stato di inoccupazione, scoraggiamento a investire nella formazione più avanzata. Al dualismo territoriale si unisce insomma anche quello generazionale: dal 2008 al 2013 sono andati persi in Italia 1 milione e 800mila posti di lavoro fra gli under 34, mentre per gli over 35 nello stesso periodo l’aumento è stato di oltre 800mila unità. Il tasso di disoccupazione degli under 35 è salito nel Mezzogiorno nel 2013 al 35,7%.

Dei 3 milioni 593mila Neet (Not in education, employment or training) registrati nel 2013, 2 milioni sono donne e quasi 2 milioni si trovano al Sud. La quota dei Neet sul totale della popolazione è arrivata nel 2013 al 27%. In questo senso la tendenza del Centro-Nord è la meridionalizzazione; con la crisi, la condizione di Neet si è estesa anche ai giovani contitoli di studio più elevati: fra gli inattivi al Sud i diplomati sono il 37,5% e i laureati il 32,4%, contro rispettivamente il 21% e il 17% dell’altra ripartizione. E se il 60% dei Neet è in una condizione di “figlio”, crescono in cinque anni del 32% anche i single o conviventi in questa situazione.

Le donne del Sud tornano al lavoro, ma restano segregate in basse qualifiche.

Aumentano i pendolari verso l’estero- Nel 2012 i cittadini italiani trasferiti per l’estero sono stati circa 68mila, 18mila in più rispetto al 2011. Ma ad emigrare non sono i meridionali: in due anni, dal 2010 al 2012, i cittadini settentrionali che hanno preso la via dell’espatrio sono passati da 29 a 47mila.

La maggior parte degli espatriati ha tra i 18 e i 39 ann, e al Sud il 28% degli espatriati è laureato. Interessante notare che se dal 2008 al 2013 i pendolari di lungo raggio dal Sud al Centro-Nord sono diminuiti del 21%, sono aumentati del 20% quelli diretti all’estero.

Gli italiani si sono diretti soprattutto in Germania, quasi uno su tre (29%), seguiti da Svizzera e Gran Bretagna. Il 58% degli espatriati è di sesso maschile.

In dieci anni, dal 2002 al 2012, i meridionali emigrati all’estero sono stati quasi 185mila, soprattutto da Napoli (55mila) e Palermo (41mila).

Per il secondo anno consecutivo, si registra un calo di oltre 20mila nati, a testimonianza dell’invecchiamento della popolazione, della scarsa immigrazione straniera e dell’insufficiente ricambio generazionale dovuto alla bassi tassi di nascita.

I consumi delle famiglie meridionali sono ancora scesi, arrivando a ridursi nel 2013 del 2,4%, a fronte del -2% delle regioni del Centro-Nord.

Gli investimenti fissi lordi hanno segnato una caduta maggiore al Sud rispetto al Centro-Nord: -5,2% rispetto a -4,6%. Dal 2008 al 2013 in più sono crollati del 33% nel Mezzogiorno e del 24,5% nel Centro-Nord.

Il valore aggiunto del settore agricolo meridionale, (compreso silvicoltura e pesca) nel 2013 ha segnato +6,9%, rispetto al +4,8% del Centro-Nord. Nonostante ciò, negli ultimi sei anni di crisi il valore aggiunto del settore agricolo meridionale ha lasciato sul campo -8,8%,

Nell’edilizia il valore aggiunto nel settore è sceso del 9,6% nel Mezzogiorno e del 4,8% nel Centro-Nord, aggravando la perdita del 2012 (rispettivamente -9,1% e -4,5%), arrivando a cumulare nel Sud, dal 2007 al 2013, una perdita del valore aggiunto del 35,3%. blocco A3

Il Rapporto SVIMEZ 2014 evidenzia due grandi emergenze nell’ex belpaese: quella sociale con il crollo occupazionale, e quella produttiva con il rischio di desertificazione industriale, che caratterizzano per il sesto anno consecutivo il Mezzogiorno.

La presenza nella Pubblica Amministrazione è più elevata al Centro-Nord, con 31 addetti ogni mille abitanti nel 2011, contro i 26 del Mezzogiorno.

Quanto agli asili nido, in base agli ultimi dati disponibili del 2011, la percentuale di bambini accolta è al Sud del 5% contro il 18,4% del Centro-Nord; mentre il settore no profit negli ultimi anni sta assumendo un ruolo sussidiario rispetto al sistema di welfare pubblico, specialmente nell’erogazione dei servizi sociali ai cittadini.

Nelle città meridionali infatti si presentano in forma acuta tre aspetti critici della condizione urbana europea: tassi di disoccupazione più elevati, espansione urbana incontrollata, dissesto idrogeologico. Le città del sud, pure essendo per lò più costiere, non riescono a valorizzare le ampie aree interne, diventano luoghi dove aumentano le diseguaglianze di reddito e viene sempre meno la capacità di inclusione sociale.

Infine viene stigmatizzato il ruolo delle organizzazioni che continuano a operare controllando il territorio, intrecciando rapporti collusivi con settori dell’economia legale e istituzionale e mescolandosi con la società civile e con il mondo imprenditoriale. Le organizzazioni criminali italiane, svolgono attività illecite, generano business, interagiscono sul sistema economico e sociale del Paese alterando le logiche di mercato con meccanismi di corruzione ed evasione fiscale.

Diversi studi negli ultimi tempi hanno cercato di quantificare l’economia criminale sul sistema: uno studio a cui hanno partecipato anche studiosi della Banca d’Italia parla di 150 miliardi di euro annui, pari al 12% del Pil;

La crisi offre un’occasione di conflitto che è sempre più difficile riassorbire all’interno delle relazioni sociali esistenti. La perdita irreversibile di un ampio sistema di garanzie e tutele, la fine dello scambio socialdemocratico tra sicurezza e conflitto, ci offre prospettive inesperite. Attraversare la crisi è una straordinaria opportunità per costruire circuiti di autonomia autogestionaria. Viverne i tempi è un gioco pericoloso che nessuno sceglie volontariamente, tuttavia offre possibilità di sviluppo a pratiche di autonomia dall’istituito, che le politiche di welfare parevano aver mandato definitivamente in soffitta.

                                                                    Orestes

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