Alluvioni Sistemiche. Argine Rivoluzionario

Le alluvioni, come quella di Genova e Parma sono diventate normali. Secondo Luca Mercalli, noto meteorologo, dovremo imparare a conviverci. Sono trascorsi quasi cinquant’anni dalla disastrosa alluvione di Firenze ma, con un preoccupante aumento di frequenza, gli eventi disastrosi si moltiplicano. Le cause sono sempre le stesse, ma più gravi. Dissesto idrogeologico, causato da cementificazione selvaggia, mancata manutenzione degli alvei dei fiumi, mutamenti climatici almeno in parte innescati dalla follia delle attività produttive, ovvero di quelle abbandonate, sulle colline liguri, un tempo rigogliose di vigne e uliveti, oggi lasciate a se stesse, senza cura del territorio su cui vivevano. D’accordo le “bombe d’acqua” sono fuori dalla norma, come pure gli uragani nel mediterraneo, eventi che rimandano alla riflessione, sul veloce cambio del clima negli ultimi anni decenni, già affrontate nelle pagine del nostro settimanale.

Secondo l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, in Italia viene cementificata una superficie di circa 86 ettari al giorno, ovvero quanto una grande città, interi territori inghiottiti dal cemento. Specie in pianura, intere zone del ex bel paese sono oggetto di estese conurbazioni senza soluzione di continuità, il terreno non assorbe più le piogge, gli alvei dei fiumi non riescono a far defluire l’acqua, e quindi con assoluta regolarità intere zone del paese sono alluvionate.

La logica seguita è quella della rendita fondiaria speculativa. Costruttori e politici continuano ad espandere senza fine le città, mentre nei centri storici aumentano le case vuote.

GenovaNOcemento

Strade sempre più larghe e veloci si sovrappongono alle vecchie, le nuove autostrade le cosiddette grandi opere, tunnel, aeroporti, ponti, porti turistici, il più delle volte inutili, fanno da apripista al consumo del territorio, parcheggi, centri commerciali, ipermercati, parchi divertimento, mega cinema, impianti sportivi, e case, case, case e ancora discariche o inceneritori.

Il territorio usato come merce di scambio, per affermare potere, controllo sociale attraverso l’indotto dell’edilizia che continua a essere, settore trainante nonostante la crisi.
Senza futuro. Era un slogan del movimento punk, è divenuto l’orizzonte limitato di una classe politica che non bada neppure più al proprio domani, preoccupata dall’arraffare tutto e subito.
Il governo approfitta dell’occasione per rilanciare lo “sblocca Italia”, che renderà ancora più sciolte le briglie del motore delle grandi opere, moltiplicando le colate di cemento, senza alcun intervento reale sul territorio.

Stiamo pagando a caro prezzo l’industrializzazione e la cementificazione degli anni passati. Si costruisce ovunque, si sfrutta la natura, si devastano montagne per realizzare opere inutili, (vedi la TAV) la natura viene violentata in ogni modo pur di produrre denaro e alimentare il capitalismo. Quando poi arrivano i danni allora ci si interroga e si va alla ricerca delle responsabilità, si ricerca un colpevole che anche ammesso si trovi non pagherà mai per i danni commessi perché fa parte di un sistema corrotto in cui ci si para il culo a vicenda, risultato, chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato scordiamoci il passato ma non è così che dovrebbe funzionare.

Occorre puntare sull’educazione, dice il meteorologo Mercalli, perché la gente delle zone a rischio, sappia tutelarsi, riducendo le vittime. Ma per città come Genova non ci sarebbe più nulla da fare. Se non demolire buona parte della città, coi suoi corsi d’acqua cementificati e asfaltati. Una prospettiva tanto drastica da elidere ogni prospettiva di azione. Certo, ben poco avrebbe potuto fare quell’argine in più che i pasticci nelle gare d’appalto hanno lasciato nelle scartoffie della Regione, tuttavia, una diversa cultura del territorio, una più spiccata attitudine della popolazione a prendersi cura dell’ambiente in cui vive, potrebbero dar vita ad una riflessione ed una pratica collettive capaci di innescare un processo virtuoso, capace di arrestare e, chi sa?, invertire la marcia del motore impazzito che ci governa.

In uno dei tg qualcuno che spalava dice una semplice grande verità, “ Bisogna ringraziare chi comanda” Vero. Ma è solo una parte della verità. Quando una comunità, in equilibrio con i luoghi in cui è vive, attua una gestione diretta delle proprie necessità e delle proprie risorse preleva quanto è indispensabile e definisce modalità di sfruttamento che non ledono le potenzialità delle risorse, in tale maniera non inibisce il futuro sostentamento e, con comportamenti adeguati tende a ridurre al minimo gli effetti negativi connessi alla trasformazione del territorio. Forse non è troppo tardi. Gli utilizzatori finali la gente comune, ormai sa quali sono i guasti e le cause. Ma lo subiscono acriticamente. Percepiscono l’ineludibilità della merce o della trasformazione e cominciano a maturare richieste alternative, ancora sommarie però, locali, si fa qui o là, e non viene chiesto in modo forte e coerente il cambio strutturale, non si fa proprio. metabolismo urbano
Una faccenda tanto semplice da divenire rivoluzionaria. Una prospettiva lontana? Forse no. Le gente che a Genova e a Parma, senza aspettare lo Stato, si è rimboccata la maniche ed ha cominciato a spalare, è indice di una coscienza civile, la cui moralità non è iscrivibile in percorsi istituzionali, anzi. A Genova alcuni di questi “angeli del fango” hanno provocato l’intervento dell’antisommossa, quando si sono permessi di chiedere ai poliziotti di sporcarsi le divise, per fare, almeno una volta, un lavoro utile. I volontari che hanno spalato frutto di uno stato d’animo solidale bello e comprensibile. Però dietro di loro non vi è alcuna comprensione del fatto che coloro che hanno contribuito a determinare il disastro (politicanti e imprenditori) sono anche quelli che poi si rivolgono al lavoro volontario e gratuito per rimediare alle loro nefandezze. Inoltre i costi della ricostruzione saranno almeno dieci volte tanto quelli che sarebbero serviti a mettere in sicurezza una città disastrata. Altro esempio positivo e concreto, gli Operai dell’Ilva: “doveva esserci un referente per coordinarci ma non è arrivato nessuno così anche oggi ci siamo mossi in autonomia facendoci dare guanti e pale dai privati e abbiamo aiutato chi aveva bisogno di una mano”. La vita cova sotto le ceneri della rassegnazione. Tante facce prima sconosciute si sono riscoperte a sgomitare ed occuparsi del bene comune, a riscoprire socialità, agire insieme, fianco a fianco a ripulire strade, case e quartieri, un riscatto e una sfida a politicanti e imprese di cui sopra. Le comunità possono conservare e migliorare la qualità ambientale del proprio territorio ed il benessere degli individui che la compongono. Tale capacità, o diritto, è una priorità assoluta, indiscutibile, non barattabile con alcun tipo di interesse, istituzionale o privato, nè compensazione economica che tenga. Non vi sono valori superiori al diritto di vivere bene in un luogo e di gestire la propria esistenza in un rapporto qualificato con il sistema naturale e sociale in cui si svolge. Quando il prelievo di una risorsa, la trasformazione di un’area, la costruzione di un infrastruttura danneggia l’equilibrio di un territorio, e peggiora quindi le condizioni di vita delle persone che compongono la comunità, esso non va attuato.

Riuscito il corteo di domenica, molto sentito, contro le politiche speculative, migliaia di Genovesi e non solo hanno sfilato in un crescendo di partecipazione e rabbia al grido di “istituzioni assassine” rivendicando libertà per chi è colpito dalla repressione per essersi opposti alle opere inutili e disastrose come il TAV.

                                                                                     Orestes

In uscita su Umanità Nova n.31, anno 94, Domenica 26 ottobre

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