PRESILA RESISTENTE

Se la verità è dubbia, la menzogna è certa. “

Lo sapevamo, l’abbiamo sempre sostenuto, dietro alle montagne di rifiuti si nascondono montagne di soldi. Interessi diversi che s’incrociano, che qualcuno crea, qualcun’altro copre, qualcun’altro si piglia le mazzate. Il controllo del territorio in Presila è saltato, non è più in mano delle popolazioni locali, delle genti che da sempre l’han vissuta. Ma appartiene a quel grumo nero – più volte denunciato anche dalla Commisione Parlamentare Pecorella – che, dopo aver avvelenato ogni dove in Calabria, è giunto nella Presila Cosentina.1896932_10152251262151203_328694713_n

Non è bastato vincere un referendum per il ritorno alla gestione pubblica dei servizi.

La privatizzazione impera in quanto sorretta da quella trasversalità di interessi che riesce ad accordare, storicamente, le maggioranze con le opposizioni in quel processo di spartizione non solo di denari, ma di territorio inteso come ambito di potere.

L’emergenza rifiuti che sta interessando in questi giorni la Calabria, ritorna ogni qual volta va ad esaurimento una discarica, o la stessa viene ad essere sequestrata per manifesta illegalità dei lavori di costruzione.

Non paghe di ciò, le consorterie d’affari, additano i comitati come i responsabili dell’emergenza, in quanto di fatto bloccano il conferimento in discarica, ma si guardano bene dal rivelare che vi sono provvedimenti atti a consentire che si possa sversare i rifiuti “tal quali” nelle discariche o abbancarli “temporaneamente” nei siti di trattamento privati.Foto1976

Sembra di essere tornati ai blocchi di Chiaiano e Marano, dei quali i media davano le letture informate conformi ai dettami consortili, ossia le infiltrazioni malavitose nei comitati, la corresponsabilità dei blocchi all’interno dell’emergenza e altre letture tendenziose, con il condimento dell’esercito a sorvegliare il transito di veleni.

Copione già visto che è duro da mandar giù in replica, la repressione si ripete sempre uguale a sé stessa, denunce a tappeto, multe da migliaia di euro, e tra un po’ ripartirà il carosello dei processi. Si tenta quindi di polverizzare una battaglia per la salute, la dignità e la salvaguardia dei territori, pur di mantenere inalterato il sistema scellerato che non si limita a creare indebitamento, rimpinguando le casse di pochi imprenditori senza scrupoli, ma avvelena sistematicamente e irreparabilmente intere porzioni di territorio, minandone le attività agricole e residenziali, esponendo la popolazione al rischio di contrarre il cancro e malattie respiratorie.100320141043

Ancora una volta in deroga a qualsiasi legge nazionale o europea e galattica, si costruiscono nuove discariche, per ora si lavora e s’incassa poi si penserà alle condanne e ai tumori. Ma i processi sono lunghi, più delle malattie, e le prescrizioni giungono sempre ad inumazione avvenuta, della controparte ovviamente. La stato si auto assolverà con qualche risarcimento che il reo difficilmente sborserà, i morti troveranno pace, la retorica del potere è salva.

Solo la lotta di questi giorni è riuscita a mettere in crisi il grumo nero. La giornata di lunedì 10 marzo è stata intensa per i comitati che in Calabria si occupano di rifiuti, dopo i blocchi di Celico che hanno visto i cittadini della PreSila opporsi al passaggio dei camion, donne, ragazzi e uomini, hanno messo in gioco i loro corpi per fermare le sversamento del tal quale, per proteggere il territorio, la propria salute e il futuro dei propri figli.

Correndo su è giù fra le aspre colline della Presila, alle porte di quel Parco della Sila, costato milioni di euro, c’è chi immagina un futuro diverso, fatto di solidarietà e amore, amore per la propria terra. mamme

Le lotte di questi giorni, la riproducibilità nei territori che stà avvenendo in tutta la Calabria, possono avere l’obbiettivo di costruire percorsi reali di cittadinanza attiva, costruzione autogestita di reddito, attraverso cooperative per la cogestione dei servizi, cooperazione e mutuo appoggio fra realtà contadine, di salvaguardia e valorizzazione del territorio, contro la sottomissione alla politica clientelare. Un impegno ecosociale, non asservito, ma vivo, ribelle, libero e propositivo.

Gruppo Eco Sociale Malatesta Cosenza – Fucina Anarchica

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Solidale ad Alessandria

I compagni e le compagne di Cosenza esprimono piena solidarietà e complicità agli abitanti e le abitanti di Alessandria del Carretto. Nella giornata del 23 Febbraio il popolo di Alessandria scende in strada per lottare contro una situazione territoriale ormai allo stremo, in seguito ad una frana che ha distrutto parte della strada provinciale 153 e che ha reso ancora più drastico l’isolamento a cui il paese è da sempre costretto.
Esprimiamo la nostra profonda stima e affetto per la gente di Alessandria che con tenacia lotta per il proprio territorio. In un periodo in cui le discariche e le devastazioni ambientali minacciano l’intero territorio calabro, il filo rosso dell’amore per la nostra terra ci rende una sola anima. Ed è un’anima che non si arrende.  La terra ci appartiene e noi le apparteniamo.

Fucina Anarchica

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#8F NOI NON CI ARRENDIAMO E NON ELEMOSINIAMO! CI RIPRENDIAMO TUTTO!

L’accampata di oggi a piazza XV Marzo vuole lanciare un segnale forte al governatore di questa regione ed ai rappresentanti del governo presenti nella nostra città.stop
Siamo quelli che paghiamo il prezzo della vostra crisi, siamo precari, disoccupati, sfrattati, sfruttati, migranti. Siamo quelli che non arriviamo alla seconda settimana, quelli che perdono il lavoro e che vengono sfrattati, quelli che devono scegliere se pagare la bolletta o comprare il pane, quelli che vengono prima rinchiusi nei Cie e poi sfruttati nei campi.
Siamo quelli dell’assedio all’austerity e dell’accampata di Porta Pia del 19 e 20 ottobre scorsi, quelli che chiediamo UNA SOLA GRANDE OPERA: CASA E REDDITO PER TUTT*, senza distinzioni etniche nè di genere.
Una composizione sociale meticcia che è il cuore pulsante di questo paese che, da lampedusa alla val susa, rivendica il diritto di poter decidere del proprio futuro, della propria terra e delle risorse del pianeta contro neoliberismo, privatizzazioni, sfruttamento e frontiere.
Un movimento che chiede che i miliardi spesi per le grandi e inutili opere (dalla Tav alla Metro di Cosenza al Ponte sullo Stretto) e per il salvataggio delle banche (responsabili della crisi) vengano messi su casa, reddito, salute, istruzione, trasporti pubblici, accoglienza reale.
Lotte sociali che si sono intrecciate e che quotidianamente resistono agli attacchi repressivi e liberticidi che il governo delle larghe intese Letta-Alfano ci impone a suon di denuncie e manganelli per cercare di fermarci!
Chiediamo i diritti che avete saccheggiato prima e cancellato poi! Specialmente al sud, dove poter studiare o farsi curare sono diventati un terno al lotto grazie ai VOSTRI piani di rientro, dove la speculazione fa coppia fissa con il malaffare ed il malgoverno lasciando sulla nostra terra devastazioni ambientali (e tra qualche giorno a Gioia Tauro anche ARMI CHIMICHE!!!) cemento e rifiuti e nessuna prospettiva per chi ha deciso di restare, siamo qua a presentarvi il conto!telesio no tav
La lotta per la casa come quelle dei migranti o per la difesa dei territori dall’aggressione e dalla speculazione capitalista parlano il linguaggio dell’autorganizzazione e della riappropriazione diretta, esprimono il «potere collettivo» contro i «poteri forti» delle speculazioni, delle finanziarizzazioni e delle privatizzazioni che affamano i popoli, devastano e inquinano le terre, cancellano presente e futuro.
#STOP SFRATTI SGOMBERI E PIGNORAMENTI!
#CASA E REDDITO PER TUTT*

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ANALISI SULLA MILITANZA. Dalle affinità sociali alla svolta esistenziale

18863_108672289147338_100000137016832_228304_7021030_nScrivo approfittando delle riflessioni fatte nel numero precedente da Cosimo*. La discussione è stata utile quanto chiara. Di sicuro oggi non assistiamo ad un movimento reale, capace di contrapporsi efficacemente alle politiche che subisce. Le nuove generazioni cresciute nel dopo Genova, sono lontane dalla caduta del muro di Berlino, ancor più dalle gesta epiche degli anni ‘70. Le tensioni libertarie sempre presenti nella società, hanno comunque trovato conferme in questi anni. La ripresa delle lotte per la soddisfazione di esigenze primarie sempre più negate da questo sistema, sta vedendo l’incrociarsi dei destini delle nuove generazione con le altre che le hanno precedute. Lo studente di oggi sarà, con buona probabilità il precario di domani, assieme a quello di oggi. I loro destini sono uguali a quelli di operai, impiegati, ecc, un tempo garantiti, sacrificati sull’altare della delocalizzazione dell’imprese, con i migranti provenienti da ogni dove. Foto1861
Persone, gente nostra che sente sulla propria pelle le contraddizioni, che sempre più velocemente in questi anni e mesi sta maturando delle riflessioni e delle scelte. Per alcun* sta diventando una scelta di vita. Scelta di rompere col sistema, nell’agire efficacemente al di fuori di esso, entrando direttamente nella vita sociale. Dai picchetti antisfratto o davanti ai cancelli delle fabbriche, ai cortei studenteschi; dalle occupazioni di scuole ed università, ai presidi e alle tante, sempre troppe discariche, centrali a bio masse, rigassificatori; dai CIE (per fortuna demoliti dai migranti stessi), all’ attivismo coraggioso e determinato NO TAV e NO MUOS, insieme alla creazione di vie alternative di lotta: sportelli di ascolto e aiuto, lavoro e documenti ai migranti, percorsi sulla sessualità, creazioni di orti urbani e sinergici, GAS (gruppi d’acquisto solidali) , nascita di comuni agricole, filiere per la produzione e trasformazione di beni primari, quali grano, olio ed anche vino e finalmente anche la birra, da gustare ascoltando un recital di poesie, o l’ultimo pezzo hip hop, o ballando una taranta.
Il contrastare efficacemente le politiche padronali, i dettami della troika, le falsità dei partiti, implica percorsi ed incontri nuovi, avvolte inediti, nel territorio, facendo a pezzi steccati e orticelli polico-ideologici di un tempo. Ingenuità? Non credo. Certo non voglio qui negare, che permangono e sono a volte forti le differenze politiche e di metodo. La storia dei movimenti ha le sue differenti letture. Gli approcci, non si possono dare per scontati, anche se nelle varie situazioni, sia geografiche che di settore, passi in avanti sono stati fatti lì dove ogni componente ha trovato spazio per la propria identità, dando forza all’innovazione sociale del movimento tutto.images A Ma ciò che è ancora più importante, circa l’azione diretta che si è data, è che essa costituisce un decisivo passo avanti verso la riconquista di quel potere individuale sulla vita sociale che le burocrazie centralizzate e soffocanti hanno usurpato alla nostra gente. Attraverso l’azione diretta, non solo riacquistiamo la sensazione di poter controllare il corso degli eventi sociali, ma acquistiamo ancora una nuova individualità e una nuova personalità, senza le quali è assolutamente impossibile realizzare una società veramente libera, fondata sull’attività individuale e sull’autogestione. L’io di ciascuno individuo come essere umano, creativo e capace con sue proprie sensibilità e carattere, le società di classe o di massa, trovavano e hanno la base nella gerarchia, nell’ obbedienza e nella dominazione, nell’essere spettatori omogenei, nell’uniformarsi alle avanguardie, nella fiducia nei guru o leader di turno, siano essi Obama, Berlusca, Renzi, Grillo o Casaleggio. “Una società veramente libera, non reprime l’individualità, ma piuttosto l’incoraggia e la favorisce, la libera e rende attuale, poiché crede nella capacità dell’uomo, di tutti gli esseri umani, a gestire la società, e non solo a eleggere, e propri esperti o sedicenti geni. Il principio dell’azione diretta non è altro che l’allargamento del concetto di assemblea della città libera. E’ il mezzo attraverso il quale ogni individuo riscopre le energie nascoste in sé e riacquista un senso di fiducia nelle proprie capacità e conoscenze. È il mezzo attraverso il quale gli individui possono assumere direttamente il controllo della società…..è un principio morale, un ideale, direi addirittura sensibilità che dovrebbe comprendere e interessare tutti gli aspetti della nostra vita, del nostro comportamento, di ogni prospettiva” (M. Bookchin)
L’incontro delle pratiche, nelle piazze, nelle strade, nei campeggi di resistenza in difesa del territorio, il contaminarsi attraverso l’ascolto e il fare assieme, arricchisce quel bagaglio, di conoscenze che ognuno si porta dietro, magari nella propria realtà, contribuendo a modificarne la coscienza e le prospettive nel cambio culturale e materiale, del proprio quartiere, CSOA, facoltà o ambito. L’impegno a recuperare e inventarsi la nostra identità, svilupparla, nel migliore modo possibile, è il modo più bello, profondo e soddisfacente di viversi questa vita negli anni a venire.
Orestes

*Articolo uscito sul n.4 anno 94 di Umanità Nova

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DA DONNICI ALLA CALABRIA. Autorganizzazione popolare contro discariche e inceneritori.

Cosa accade quando una popolazione, sentendosi sfruttata ed ingannata, decide di spezzare le catene del silenzio e dell’indifferenza? Accade che ci si autorganizza, si cominciano a porre delle domande, si superano preconcetti e barriere e proprio questa è la dinamica  che, da alcuni mesi, si è innescata a Donnici, piccola frazione di Cosenza, in realtà un piccolo paesino  annesso nel diciannovesimo secolo al capoluogo bruzio e  oggi divenuto mero dormitorio dove magari relegare quello che il salotto buono di Cosenza rifiuta. Senza alcuna forma di partecipazione popolare, senza informazioni ma semplicemente imponendo, col silenzio dell’omertà,  un  vecchio progetto,  l’amministrazione del comune di Cosenza avvia i lavori per la costruzione di un centro di raccolta dei rifiuti che sarebbe a supporto della differenziata. Occorre rilevare che la differenziata  è una pratica già avviata sul territorio di Donnici già da alcuni anni mentre nel resto della città, con non poche difficoltà, si sta proponendo in essere solo in questi ultimi mesi. Manca però un organico piano della differenziata e la partecipazione popolare, base di questo processo virtuoso, è del tutto ignorata dall’amministrazione del capoluogo bruzio.PRESIDIO Ritornando aI C.R.C. i cittadini di Donnici nello scorso mese di ottobre scorgono alcuni lavoratori operare all’interno di un’area verde, vicinissima a un fiume, a dei vigneti e a produzioni agricole di pregio. Le prime frammentarie informazioni parlano di una struttura destinata a raccogliere spazzatura, un deposito , una discarica, non si capisce bene visto che dal Comune non giunge voce. Addirittura, sul cantiere mancano anche le più elementari norme di sicurezza , da una strada d’accesso  alla recinzione fino ad arrivare alla cartellonistica. I cittadini iniziato ad allarmarsi e cresciuto il disagio il Comune tenta un primo contatto che  però non riesce a calmare gli animi,  anzi i dubbi aumentano. Si parla di isola ecologica ma come mai, si chiedono i donnicesi, la si pone in aperta campagna, inoltre la superfice non è del tutto esigua, infine pare che tutti i tipi di spazzatura verranno conferiti nella piattaforma, conferiti poi non si capisce bene da chi, solo i residenti a Donnici, o tutta la città? Solo cittadini privati o anche aziende, magari proprio quelle private che gestiscono il ciclo dei rifiuti a Cosenza e che farebbero comodamente uso di una piattaforma dove ammassare i rifiuti che con un decreto di Scopelliti, governatore regionale, si possono accumulare, senza trattamenti, nelle strutture dedicate ai rifiuti.  Nel frattempo il sindaco della città, l’architetto Mario Occhiuto rifiuta un incontro diretto con la popolazione, a suo dire confrontarsi in una pubblica assemblea non gli permetterebbe di parlare serenamente. L’indignazione cresce così, spontaneamente, nasce il comitato Difesa del Territorio di Donnici che raccoglie, in maniera trasversale, buona parte della popolazione, dal prete della parrocchia ai compagni, dai professionisti alle casalinghe, insomma tutti uniti per cercare la verità. A questo punto si richiede tutta la documentazione ufficiale, inerente il progetto che, non senza difficoltà della solita burocrazia italiana, viene raccolta, contemporaneamente la questione diventa di pubblico dominio, i donnicesi organizzatisi orizzontalmente con una serie di partecipate assemblee, scendono in piazza, oltre ottocento persone sul corso principale di Cosenza dicono no al Centro di raccolta ma si alle isole ecologiche. Infatti uno degli equivoci mediatici che ha caratterizzato e caratterizza l’intera vicenda è l’ostinazione con la quale il sindaco Occhiuto definisce questo centro di raccolta come isola ecologica, sostenendo siano la stessa cosa, mentre il Comitato evidenzia come il più rassicurante uso del termine isola ecologia sia, nei fatti, un tentativo di depistare l’opinione pubblica facendo apparire i donnicesi come cittadini prossimi all’ignoranza che si oppongono al ciclo virtuoso delle differenziata e alle isole ecologiche.donniciM Il Comitato, invece,  ha da sempre dichiarato di essere decisamente favorevole alla raccolta differenziata e, di conseguenza alle isole ecologiche ma quello che si intende costruire è un centro che servirà tutta la città e dove saranno raccolti non solo rifiuti ingombranti ma tutte le tipologie di rifiuti ivi compreso umido, oli esausti, materiale elettronico. Dopo questa iniziativa, il sindaco continua a rifiutare il confronto pubblico e comunica solo tramite noti social network,  dove impazzano le polemiche fra il primo cittadino e cittadini. Nel frattempo il Prefetto di Cosenza aveva più volte convocato il Sindaco, una rappresentanza del Comitato, consiglieri di opposizione e autorità competenti, Guardia di Finanza, Corpo Forestale, Questore. In tale sede si è tentato di conciliare le posizioni ma il sindaco si mostrava irremovibile: il CRC va costruito. Il Prefetto, invita, tuttavia il sindaco prima a fornire la documentazione inerente il progetto, richiesta dal team tecnico legale nel frattempo costituitosi del Comitato e poi a fornire risposta al ricco dossier del Comitato. Il Dossier, inviato a numerose autorità competenti con allegata una raccolta di oltre 1400 firme evidenzia le numerose anomali del cantiere: la vicinanza oltre i limiti consentiti, di un fiume che fra l’altro è esondato nel 1958, la presenza di antichi canali di irrigazione in muratura di interesse storico e di proprietà demaniale che il cantiere ha semi-interrato, la presenza poi di produzioni agricole DOC e DOP, il disboscamento fatto senza alcuna autorizzazione presso la forestale, presunte anomalie negli atti che autorizzano l’apertura dei cantieri, mancanza di una strada di accesso autorizzata: al cantiere si accede smontando un guardrail mentre la Provincia in alcuni documenti per l’autorizzazione del cantiere parlava chiaro: bisognava espropriare altro terreno per costruire una rampa di accesso che presenta tutte le caratteristiche di sicurezza necessarie. La risposta di Palazzo dei bruzi è una brevissima relazione che, in quattro paginette denigra il lavoro scientifico del Comitato, affermando fra l’altro, che le foto del dossier donnicese sono dei fotomontaggi! Attualmente i lavori per la costruzione del CRC sono fermi, infatti tutte le ditte che avevano partecipato alla gara d’appalto , si sono ritirate, strano in un periodo di crisi come questo! Che si siano rese conto che lavorare in quel cantiere porta solo grane non legate ai pacifici sit- in che il comitato ha tenuto per più di un mese nei pressi del cantiere? Di contro una indagine è stata aperta dalla Procura. I problemi però non si risolvono certo nelle aule dei tribunali. Una cosa è certa: quello che sta accadendo a Donnici, probabilmente fa davvero molta paura ai palazzi del potere, infatti il Comitato intende non solo portare avanti una battaglia vertenziale contro il CRC ma intende avanzare proposte concrete per una reale partecipazione dal basso. L’obiettivo è quello di gestire dal basso, tramite le assemblee orizzontali e apartitiche, il territorio a partire dall’ambiente per poi sconfinare in tutti gli aspetti della vita donnicese, dalla produzione di prodotti agricoli biologici, a forme non istituzionalizzate e realmente popolari di cultura e socialità. La paura è tangibile se sono vere le voci che parlano di numerose pressioni e minacce verso i cittadini vicini al comitato, dal rischio per il prete di essere sospeso ai lavoratori che sono minacciati sui luoghi di lavoro. Il comitato di Donnici però è consapevole del fatto che la felicità non può mai essere privata ma è tale solo se è di tutti e tutte, pertanto contemporaneamente alle azioni sul territorio, si stanno intessendo dei rapporti con le altre realtà calabresi in lotta. Nella provincia di Catanzaro, più precisamente a Borgia, in località Battaglina, la popolazione si è ribellata alla costruzione di una enorme discarica che diventerebbe la più grande d’Europa,GRANDE ma anche Pianopoli, dove si sta tentando di ricostituire un comitato conto la più grande discarica calabrese, per passare a Bisignano dove il locale comitato si oppone alla realizzazione di un impianto per il trattamento dei rifiuti, in altri termini una ulteriore discarica per poi passare a Scala Coeli dove la lotta popolare ha permesso di bloccare l’apertura di una discarica che non aveva nemmeno una strada di accesso, ancora il comitato che si oppone alla discarica di località Bucita a Rossano. 19032011046oIl problema  dei rifiuti in Calabria è, evidentemente, piuttosto grave, a partire dalle mancate bonifiche. Navi dei veleni, città costruite con scorie tossiche, fabbriche della morte, discariche abusive, discariche chiuse e mai bonificate, nulla ha insegnato alla classe dirigente calabrese che nel piano regionale dei rifiuti in fondo non trova soluzioni diverse alle discariche e ai termo-valorizzatori. Tali strutture , nel momento in cui vengono ampliate e /o costruite non potranno funzionare se, nel contempo, si pensa di realizzare la differenziata. Oh si differenzia, in maniera reale e non accentrando in un solo centro di raccolta la spazzatura di una intera città, oppure si continua nella scelta scellerata di una discarica gestita da qualche azienda privata. Il sistema differenziata e il sistema discarica non possono, evidentemente coesistere, la differenziata sottrae “materia prima” alla discarica per non parlare dell’inceneritore che con una differenziata funzionante smetterebbe di funzionare. Altro elemento su cui riflettere è, senza dubbio, la gestione privata del ciclo dei rifiuti, il privato ha come suo precipuo interesse il solo guadagno non di certo la salute dei cittadini. Ancora una volta interessi privati e partitici si oppongono alla volontà popolare. In questo momento una possibile risposta a questo ciclo viziato può essere rappresentata  dai comitati popolari. Tramite i comitati si mette in discussione l’esistente e sono un ottimo laboratorio di autodeterminazione popolare di scelte orizzontali di scelte prese tramite assemblee e non nelle chiuse stanze di qualche nascosto vertice.

Pubblicato sul n. 4 anno 94 di Umanità Nova

 

 

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ARMI CHIMICHE A GIOIA TAURO. Le bugie del potere

La guerra pure a tenerla lontana, ti bussa alla porta. Su questa vicenda, come tante in Calabria ciò che proprio sembra non esistere è il volere della gente che ci vive. L’ennesima iattura su questa terra già martoriata da interessi sempre esterni. Prima era l’industrializzazione, la strampalata idea di sviluppo che ha distrutto la vocazione agricola turistica e archeologica della zona. Poi venne l’inceneritore, che avvelena tutta la piana, costruito nonostante una manifestazione di 10mila persone, come pure la lotta alla centrale a carbone di Gioia Tauro negli anni 90 che vide una partecipazione altrettanto numerosa.

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Poi venne il porto, sottoutilizzato a cospetto di altre strutture simili nel mediterraneo, per la cronica mancanza d’infrastrutture. Oggi si lotta contro il rigassificatore più grande d’Italia, che cambierà per sempre la fisionomia, le condizioni di vita, le possibilità di futuro, dell’intera piana di Gioia Tauro e dei suoi abitanti, col rischio di far vivere i residenti del territorio nella costante minaccia di una catastrofe di enormi proporzioni. E ora le armi chimiche. Eppure questa è una terra antica, la Metauros, che vede le origini negli insediamenti che davano vita alla prosperosa Magna Ellas, Magna Grecia, che commerciava con la madre patria derrate alimentari in cambio di produzione artigianale, introducendola quindi nel sud Italia, insieme alla cultura più progredita di allora. Ma tutto ciò non ha alcun peso nella storia odierna. “L’operazione Gioia Tauro” ha avuto il via libera del governo. Un atto d’imperio, un sopruso, con­tro la popo­la­zione. In spre­gio alla legge ita­liana e alla Con­ven­zione di Aarhus, rati­fi­cata dall’Italia con la legge 108 del 2001, che mette al cen­tro di ogni pro­cesso deci­sio­nale la par­te­ci­pa­zione. In realtà verrà istituita una “zona rossa” di sicurezza, di un chilometro, col porto isolato da 600 soldati, durante l’operazione di trasbordo che dovrebbe iniziare a fine mese. L’intero centro di San Ferdinando (4.000 abitanti) sarà evacuato e ciò senza alcuna informazione preventiva alla popolazione finora. Osservando una cartina geografica, sembra un’evacuazione di gran parte di Gioia Tauro (20.000 abitanti) e di una parte di Rosarno. C’è da capire come mai se, nel porto simili sostanze sono ordinariamente trattate, come mai oggi si prendono simili precauzioni, allora o è vero che ordinariamente la vita della nostra gente non conta nulla, o le sostanze in arrivo sono molto più pericolose. I por­tuali del SUL, con­fer­mano che è vero che mate­riale tos­sico di que­sta cate­go­ria ne è pas­sato negli anni lungo le ban­chine gio­iesi, ma sostanze letali mai. Scopelliti, “il governatore regionale” è passato dalla minaccia di rivolta a “un oppurtinità di sviluppo per il porto”, barattando la sua fermezza con la concessione della Zona economica speciale (Zes), l no dei 33 sindaci della piana di Gioia Tauro, resta fermo, loro che avevano ricevuto una specie di ultimatum. I primi cittadini, lunedì sera, al termine di una lunga assemblea avevano approvato un documento con cui «danno mandato ai sindaci di San Ferdinando e Gioia Tauro ad opporsi» al transito delle navi nel porto di Gioia Tauro, ribadendo comunque che non ci sono le condizioni, il porto non è idoneo, perché manca una struttura sanitaria, manca un ospedale e manca un piano di evacuazione di sicurezza”. Mentre i parlamentari del M5S sono rimasti fuori da palazzo Chigi, forse ancora non hanno capito che ruolo giocare, coraggio non diventerete grandi sulla pelle della gente! La CGIL, manco a dirlo, se prima era preoccupata ora valuta positivamente gli sviluppi della discussione, per poi mandare a dire al Governo, cogliendo l’occasione, che non delega nessuno sulla sicurezza del lavoro ed auspica un confronto sulle scelte di rilancio del porto….mica si può lasciare tutto in mano a Scopelliti, la cogestione del potere è di vitale importanza per il sindacato oggi. Ma ci sono altre navi rimosse da tutti i politici calabresi, e non solo, ora allarmati da quella siriana in arrivo ma smemorati sulle altre già affondate. Sono la Rigel affondata a Capo Spartivento in provincia di Reggio Calabria, E’ ancora lì sotto quella nave, ad inquinare con il suo carico chimico. Natale de Grazia è stato assassinato perché indagava proprio su quella nave. La Jolly Rosso, il cui carico di rifiuti non è mai stato ritrovato, completamente e giace ancora interrato tra la valle dell’Olivo e Amantea. La Cunsky, la nave che il pentito Fonti disse di aver direttamente affondato davanti la costa cetrarese  e che il governo Berlusconi disse che era stata smantellata in India e che quindi quella nave non esisteva? Solo un anno fa nel gennaio 2013, il governo indiano rispose che quella nave non risultava smantellata in nessun porto indiano. Né Scopelliti, né tantomeno il sindaco di Cetraro sono saltati sulle proprie sedie presi dallo sgomento della notizia che affossava tutte le bugie dette dalla Prestigiacomo fino al super procuratore Grasso ora promosso a  Presidente del Senato. Secondo la Direzione Marittima di Reggio Calabria le navi affondate in Calabria sarebbero ben 44, ma di queste 9 sono navi fantasma e sicuramente cariche di veleni tossici. Veleni che continuano a inquinare i nostri mari. mbroglia

Queste sono le bugie di ieri, torniamo allo sce­na­rio è molto preoccupante di oggi. Gli espo­nenti della comu­nità scien­ti­fica di Demo­cri­tos (gli omo­lo­ghi del CNR) di Atene e del Poli­tec­nico di Creta, par­lano “di com­pleta distru­zione dell’ecosistema che gra­vita intorno al Medi­ter­ra­neo cau­sato dalla distru­zione delle ogive…l’armamento sarà distrutto nella zona di mare ad ovest di Creta, in parte mediante idrolisi, nella nave americana Cape Ray, con la con­ni­venza delle auto­rità gre­che, ita­liane e mal­tesi» ha detto a chiare let­tere il col­la­bo­ra­tore scien­ti­fico diDemo­cri­tos, ed in parte su un’altra nave da guerra Britannica con destinazione un impianto Veolià, la multinazionale che sfruttava le acque in Calabria. Un altra prova difficile attende la piana da sempre incrocio di popoli in ricerca di benessere e felicità, dove migranti provenienti da ogni dove, sono intenti alla raccolta degli agrumi provano a immaginarsi un fututo. Ma “l’uomo diventa realmente tale quando rispetta e ama l’umanità e la libertà di tutti, e quando la sua libertà e la sua umanità sono rispettate, amate, suscitate e create da tutti. (M. Bakunin)

                                                                                                                  Orestes

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BUON 2014

Il 2013 doveva essere l’anno della ripresa economica.

Così dicono dei giorni a seguire, dopo queste ore di feste.

Il 2014 ci metterà alla prova. Ancora una volta.

C’è tanto da scavare nel fossato dell’ideologia dominante.

Contro la dispotica dottrina del Dio potere, del Dio denaro, di qualsiasi Dio.

C’è bisogno di un nuovo patto fra quest’umanità dolente.

Voglio crederci. Ho scelto da che parte stare e tu?

Spezzare le catena dell’ignavia, della sofferenza.

Con un gesto d’amore e di rabbia che cementa, non distrugge solo.

Per tirare fuori le migliori energie, quelle pure, come il sorriso di una bambina.

I figli sono di chi li cresce, ma soprattutto sono loro.

“Il piacere di essere sé e di appartenersi darebbe al sapere quell’attrazione passionale,che giustifica quello sforzo senza ricorrere alla costrizione. “ (R. Vaneigen)

Il 2014 ci vedrà on the road again, sempre dalla stessa parte, oltre la barricada, con il cuore oltre l’ostacolo, per le strade di tutto il mondo.Nessun stato è esistito prima dell’uomo, prima di facebook.

Buon anno di Bakunin.

barri

Michele Bakunin è una fonte inesauribile di energia rivoluzionaria.
anche chi non si condivide quello che ha sostenuto, o lo si ritiene
ormai datato, leggendo i suoi scritti e studiando la sua biografia non
può non rimanere colpito dalla sua sete di libertà e dai suoi sforzi per
soddisfarla.

http://i-f-a.org/index.php/it/2014/405-appel-2014-annee-bakounine

http://anarchico.noblogs.org/files/2013/10/Michail-Bakunin-web.jpg
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SUD ABBANDONATO

suditalia

I livelli di Pil pro capite del Mezzogiorno sono inferiori a quelli della Grecia: 17.957 euro conto i 18.454 euro ellenici. Le distanze sociali peggiorano. Il Mezzogiorno italiano è più in difficoltà che il resto del Paese. La crisi, spiega il Censis, ha allargato il divario Nord-Sud. Tra il 2007 e il 2012 nel Mezzogiorno il Pil si è ridotto del 10% in termini reali, a fronte di una flessione del 5,7% registrata nel Centro-Nord.
Ma la recessione attuale è solo l’ultimo tassello di una serie di criticità che si sono stratificate nel tempo: piani di governo poco chiari, una burocrazia lenta nella gestione delle risorse pubbliche, infrastrutture scarsamente competitive, una limitata apertura ai mercati esteri e un forte razionamento del credito hanno indebolito il sistema-mezzogiorno fino quasi a spezzarlo.
Negli ultimi decenni il Pil pro-capite meridionale è rimasto in modo stabile intorno al 57% di quello del Centro-Nord, testimoniando l’inefficacia delle politiche di sostegno allo sviluppo, non in grado di garantire maggiore occupazione, nuova imprenditorialità, migliore coesione sociale, modernizzazione dell’offerta dei servizi pubblici. Fra i grandi sistemi dell’Euro zona l’Italia è il Paese con le più rilevanti diseguaglianze territoriali.
Il mercato del lavoro si destruttura e si impoverisce ulteriormente. Dei 505.000 posti di lavoro persi in Italia dall’inizio della crisi, tra il 2008 e il 2012, il 60% ha riguardato il Mezzogiorno (più di 300.000). Il Sud paga la parte più cospicua di un costo già insopportabile per il Paese e si conferma come un territorio di emarginazione di alcune categorie sociali, come i giovani e le donne. Un terzo dei giovani tra i 15 e i 29 anni non riesce a trovare un lavoro (in italia il tasso di disoccupazione giovanile è al 25%). Se poi oltre a essere giovani si è donne, la disoccupazione sale al 40%. Il tasso di disoccupazione femminile totale è del 19% al sud a fronte di un valore medio nazionale dell’11%. I disoccupati con laurea sono in Italia il 6,7% a fronte del 10% nel mezzogiorno.
Un tessuto d’impresa a rischio di deindustrializzazione. Un sistema imprenditoriale già fragile e diradato, è stato sottoposto negli ultimi anni a un processo di progressivo smantellamento, costellato da crisi d’impresa molto gravi come quelle dell’Ilva di Taranto e della Fiat di Termini Imerese. Tra il 2007 e il 2011 gli occupati nell’industria meridionale si sono ridotti del 15,5% (con una perdita di oltre 147.000 Unità) a fronte di una flessione del 5,5% nel Centro-Nord. Oltre 7.600 imprese manifatturiere del Mezzogiorno (su un totale di 137.000 aziende) sono uscite dal mercato tra il 2009 e il 2012, con una flessione del 5,1% e punte superiori al 6% in Puglia e Campania.
Si allargano le distanze sociali. Il Mezzogiorno resta un territorio in cui le forme di sperequazione della ricchezza non diminuiscono, ma anzi si allargano. Calabria, Sicilia, Campania e Puglia registrano indici di diseguaglianza più elevati della media nazionale. Il 26% delle famiglie residenti nel Mezzogiorno è materialmente povero, cioè con difficoltà ad affrontare spese essenziali a fronte di una media nazionale del 15,7%. E nel Sud sono a rischio di povertà 39 famiglie su 100 a fronte di una media nazionale del 24,6%. Il persistere di meccanismi clientelari, di circuiti di potere impermeabili alla società civile e la diffusione di intermediazioni improprie nella gestione dei finanziamenti pubblici contribuiscono ad alimentare ulteriormente le distanze sociali impedendo il dispiegarsi di normali processi di sviluppo.
Fondi europei: risorse non spese e programmi inefficaci. I contributi assegnati per i programmi dell’obiettivo convergenza destinati alle regioni meridionali ammontano a 43,6 miliardi di euro per il periodo 2007-2013. A meno di un anno dalla chiusura del periodo di programmazione risulta impegnato appena il 53% delle risorse disponibili e spesi 9,2 miliardi (il 21,2%). L’efficacia dei programmi attivati con i fondi europei è discutibile. Al contrario di ciò che è accaduto in altri Paesi con un marcato dualismo territoriale, in Italia la convergenza tra Sud e Nord non si è mai realmente affermata. Nel prossimo ciclo di programmazione l’UE stima che la popolazione sottoposta all’obiettivo convergenza passerà in Italia dall’11% al 14% del totale, mentre altri paesi cala drasticamente tale quota: la Germania passerà dal 5,4% allo 0% e la Spagna dal 9,1% allo 0,9%. Le risorse spese nelle regioni meridionali non solo hanno contribuito debolmente al riequilibrio territoriale, ma hanno rafforzato i circuiti meno trasparenti e congelato l’iniziativa imprenditoriale con incentivi senza obbligo di risultato e progetti spesso estranei alle vere esigenze delle economie locali.
Scuola e formazione. Si spende di più che nel resto del Paese, ma i risultati sono peggiori. Uno dei principali fattori di debolezza del Sud è ancora oggi l’incapacità del sistema educativo di accompagnare processi di sviluppo attraverso la formazione di un capitale umano qualificato, contribuendo così a contrastare il disagio sociale ed economico della popolazione. La spesa pubblica per l’istruzione e la formazione nel mezzogiorno è molto più alta di quella destinata al resto del paese: il 6,7% del pil contro il 3,1% del centro-nord, ovvero 1.170 euro pro-capite nel Mezzogiorno rispetto ai 937 del Resto d’Italia. Eppure, il tasso di abbandono scolastico è del 21,2% al Sud e del 16% al Centro-Nord. La questione generazionale italiana diventa quindi emergenza e allarme sociale nel Mezzogiorno. Tra il 2003 e il 2010 al Sud gli inattivi (né occupati né disoccupati), sono aumentati di oltre 750mila unità, crescono i giovani “Neet” (Not in education, emplyment or training) con alto livello di istruzione. Il 31,9% dei giovani di 15-29 anni non studiano e non lavorano, con una situazione da emergenza sociale in Campania (35,2%) e in Sicilia (35,7%). E il 23,7% degli iscritti meridionali all’università si è spostato verso una localizzazione centro-settentrionale, contro una mobilità di solo il 2% dei loro colleghi del centro e del nord. Sono circa 167 mila i laureati meridionali fuori  dal sistema formativo e del mercato del lavoro, con situazioni  critiche in Basilicata e Calabria. Uno spreco di talenti inaccettabile.
L’abbandono della sanità pubblica e i bisogni assistenziali crescenti. Il progressivo deterioramento dei servizi sanitari negli ultimi cinque anni è riferito dal giudizio dei cittadini: lo afferma il 7,5% al nord-ovest, l’8,7% al nord-est, il 25,6% al centro e addirittura il 32,1% al sud. Il 17,1% dei residenti meridionali si è spostato in un’altra regione per farsi curare, non fidandosi della qualità e della professionalità disponibili nella propria. Il quadro dei dati forniti dallo studio del Censis è sconcertante. Fotografa i resti di un bombardamento dal quale è indispensabile risollevarsi.
Le soluzioni possibili. Questi dati evidenziano l’incapacità del capitalismo di affrontare e delle istituzioni rispondere ad una crisi che loro stessi hanno creato. La manovra austera ed iniqua che colpisce  le classi medie e basse della società è una manovra rivolta al prelievo fiscale tralasciando la crescita economica e sociale. Gli interventi, i piani industriali modello pacchetto Colombo, che hanno finanziato le imprese al Sud, hanno solo consumato, spesso distrutto completamente interi territori. Inoltre la chimera dei fondi europei  propugnata dalla Comunità Europea si è rilevata una grande truffa, i fondi europei destinati alle zone più disagiate dell’Unione, che hanno lo scopo di trasformare le zone più povere in comunità ricche attraverso le infrastrutture, l’istruzione e gli investimenti nello sviluppo, non ha prodotto i risultati sperati. Le cause vanno ricercate sopratutto nella cattiva gestione e nei controlli decentrati e troppo deboli, così ch’è molto spesso questi fondi sono finiti nelle mani della criminalità organizzata. Alcuni dei maggiori beneficiari del programma di sviluppo, pensato per sostenere le piccole e medie imprese, sono le multinazionali che con il loro potere politico-economico sono riuscite ad influenzare i decisori dei trasferimenti dei fondi europei. Le popolazioni dopo il miraggio industriale, oggi vengono spogliate dei servizi, ospedali compresi, e realizzazioni, di discariche, inceneritori, campi fotovoltaici, centrali a biomasse, campi eolici. La vocazione naturalistica, agricola, archeologica, gastronomica è ignorata, mortificata. Il capitalismo globale si basa sulla privatizzazione e sulla mercificazione di massa dei beni comuni dell’umanità e della natura incompatibile con il mantenimento dell’equilibrio dell’ecosistema. Ci sono molti esempi che ci mostrano come la logica capitalista è responsabile della crisi ecologica e come una seria politica ambientale deve confrontarsi con gli interessi privati delle grandi imprese.
E’ evidente da questi inesorabili dati che la crisi economica viene pagata in termini di vite umane, dalla popolazione del Sud e in particolare dalle nuove generazioni che sempre più spesso decidono di abbandonare la propria terra, facendo così aumentare il tasso di emigrazione riportandolo ai dati degli anni ’50. Sono infatti i giovani che in particolar modo soffrono la distanza economica-sociale fra settentrione e meridione.
Il settore in cui si registra lieve ripresa è l’agricoltura che vede una crescita del doppio (1,4% rispetto al 0,7% del Centro-Nord). Un reale ritorno alla terra, grazie al noto decreto sui giovani coltivatori, mossi dal reale amore per la terra si sono indirizzati su colture biosostenibili, il circuito dei GAS, i gruppi d’acquisto solidali, combattendo ignoranza dei consumatori su ciò che acquista, che mangia, da dove e come viene prodotto, per la valorizzare i prodotti locali a km zero. Un ponte per il futuro potrebbe essere la riqualificazione dei lavoratori dei settori produttivi ecologicamente insostenibili (i settori degli armamenti, delle automobili, dell’edilizia), mantenendo i diritti dei lavoratori e creando nuovi posti di lavoro nel settore dell’economia sostenibile come l’energia rinnovabile, l’agro-ecologia, la cultura, dai musei alle necropoli greche ancora sepolte. Una massiccia riduzione dell’orario di lavoro, lavorando meno ore e mantenendo i salari, creazione di posti di lavoro e favorire una più equilibrata distribuzione del lavoro domestico e di cura tra uomini e donne.
Le alternative passano nel porre le questioni delle relazioni capitaliste della proprietà. Come socializzare il sistema finanziario e altri settori chiave come l’energia. Controllare produzione per evitare la sovra-produzione, com’è al sud. Le centrali a biomasse sono una speculazione, basata sui certificati verdi, i risultati, saccheggio e devastazione dei territori, senza alcun vantaggio alle popolazioni.
Il punto di partenza per affrontare la crisi sociale ed ecologica è la resistenza sociale, l’organizzazione e la mobilitazione, perché i cambiamenti non si verificano dall’alto, ma sono il risultato della pressione, della lotta in strada, iniziativa dal basso.
L’incapacità di avviare cambiamenti significativi nelle politiche chiave è spiegata principalmente dalla debolezza della risposta sociale alla crisi. Perché se c’è un clima che va cambiato, è proprio il clima sociale. Nel terreno sociale, c’è bisogno di un’alleanza classista e internazionale. Fra gli sfruttati di ogni Sud, le braccia del sud del mondo che quotidianamente sbarcano sulle nostre coste. Sconfiggendo ignoranza e pregiudizi. Le relazioni dei lavoratori, negli scenari come quelli attuali, sono dominati o dalla paura ed egoismo oppure dalla solidarietà e dalla rabbia contro l’ingiustizia. Fondamentalmente, la posta in gioco è un’uscita alla crisi attraverso metodi, oltre anticapitalisti ed ecologisti, anche femministi e solidali.
La sfida futura sarà di trasformare il disagio sociale in mobilitazione e azione collettiva, e ricostruire una cultura della mobilitazione, la solidarietà e la partecipazione in materia collettiva nei luoghi di lavoro, nei quartieri, nei centri di studio. La gente ha per lungo tempo sperimentato solo sconfitte in generale e/o battute d’arresto, c’è bisogno di contro-esempi che dimostrano che è possibile cambiare le cose.
La conseguenza più importante delle rivoluzioni nel mondo arabo, i movimenti alternativi in Europa, dimostrano che se ci si muove, si combatte, ci si organizza e si esce in strada, che i fondamenti del sistema attuale non sono solidi come sembrano o come siamo portati a credere e quando il disagio diventa rabbia e questa rabbia diventa mobilitazione popolare. Anche se la resistenza sociale è il punto di partenza per cambiare le cose, questo di per sé, non è sufficiente. Abbiamo bisogno di articolare un’ampia politica alternativa legata alle lotte e ai movimenti.

Cosenza, Settembre 2013                                                                    Orestes

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Sulle macerie dei CIE

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     La ragion di stato non coincide mai con quella dell’umana società. Sono queste le parole che vengono in mente ascoltando la ministra Kyenge all’uscita del CIE di Sant’Anna di Crotone. Nelle dichiarazioni della ministra (guarda il video:http://tv.ilfattoquotidiano.it/2013/08/21/isola-capo-rizzuto-kyenge-bloccata-dai-migranti-lei-avviare-dialogo/242686/) si sente dire: «Io sono per la non violenza, qualsiasi soluzione può essere attraverso dialoghi e sistemi d’ascolto, e ovunque applicate». E ancora, prima: «Bisogna capire i motivi della protesta, non si conoscono le cause. Sono per la non violenza, qualsiasi soluzione può essere attraverso dialoghi e sistemi d’ascolto, e ovunque applicate. Capire le ragioni della protesta, che vanno cercate all’interno del CIE, insieme alle persone che lavorano qua dentro, e quindi non si può dire ha ragione o torto, ma privilegio la via del dialogo». Anche noi preferiremmo parlare tranquillamente e trovare le migliori soluzioni per i problemi dell’umanità ragionando sulle contraddizioni della società tutta. Ne parleremmo volentieri, ma sulle macerie dei CIE, dei confini, degli stati. A cominciare dalla legge Bossi Fini. Non va riformata, va abrogata. Si può trovare la soluzione solo all’interno del lager, dice la ministra, anche se giorni fa si era espressa criticamente sulla legge che regola l’immigrazione, la Bossi Fini. Ma solo grazie alla giusta rivolta dei migranti, un altro Centro di Identificazione ed Espulsione chiude. «Temporaneamente, ma a tempo indeterminato«, come scrive con linguaggio logico il prefetto, e i motivi della protesta, sono la giusta e conseguente indignazione per la morte nella notte del 10 agosto di un recluso di 31 anni, Moustapha Anaki, marocchino. Per un malore dicono. L’uomo era recluso nel Cie da circa un mese perché immigrato irregolare in attesa del rimpatrio ed era stato trasferito nel centro calabrese dopo avere scontato una pena nel carcere di Salerno. Si trovava in Italia da sette anni, sempre senza permesso di soggiorno, condizione che dal 2009 anche in Italia costituisce reato, anche se non punito con la detenzione in carcere. Una scintilla che fa scoppiare l’incendio: i reclusi del Centro, una cinquantina in tutto, danno vita ad una grande rivolta e in poche ore sono distrutti i muri e l’impianto di videosorveglianza, e incendiate le stanze e gli arredi. E con una struttura completamente inagibile e ingestibile, la Prefettura decide di chiudere e trasferire i reclusi in altri Centri. A marzo era toccato al Centro di Bologna, poi a quello di Modena in agosto. A chi loda l’impegno delle forze dell’ordine, lo sforzo umanitario, (vedi ancora video sopra, e pensa quello che accade quando non ci sono le telecamere…), di chi gestisce i centri, come la Croce Rossa o la Misericordia, che a Crotone prende una diaria di 21 euro al giorno per migrante, diciamo che quei soldi sono maledetti come il girone infernale, in cui ogni giorno prestano servizio.

La rabbia, la frustrazione, la disperazione, di donne, uomini e ragazze, ammassate nel CARA di Crotone, circa 1500 su na capacità di max 1200 persone, fin anche 10 o 12 per container, spesso senza acqua, condizionatori e medici che passano psicofarmaci per 8 mesi anche un anno. Che c’è da discutere? Verrebbe da chiedere alla Ministra Kyenge, cosa ne pensa dell’escalation in Siria, su cui la Francia afferma che, se di armi chimiche si tratta, bisognerà usare la forza. Alcuni Siriani sono ospiti loro malgrado del CARA del Sant’Anna.

Noi continuiamo a pensare, che le leggi razziste, le politche xenofobe, sono basate e fatte per la sicurezza degli stati, degli interessi delle multinazionali, che sfruttano e depredano le richezze in Africa, come in ogni sud del mondo. Che le violenze sui migranti nei lager in Italia, sono parte del dominio sistemico in tutto il mondo. Questo è il reale motivo dell’aggirarsi per la terra di tanti dannati. Non possono avere accesso a quelle merci, grezze o lavorate che invece circolano liberamente. Oltre alla naturale propensione di molti, di conoscere e contaminarsi. Perchè esiste una sola umanità, divisa dai confini degli Stati, dagli interessi dominanti di caste burocratiche, tecno scientifiche e religiose. Ai corpi ammassati nelle fosse comuni in ogni sud del mondo preferiamo la rabbia sulla macerie dei CIE.

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NO MUOS. Stanno arrivando!

La collina delle antenne

La collina delle antenne

Stanno arrivando!!
Ma chi?
Arrivano i nostri!!
Parole concitate dei pacifisti arrampicati dal giorno prima della manifestazione sull’antenne.
Sono da poco passate le 19, a Niscemi centinaia di manifestanti, colorati e festanti sono entrati nella base americana che ospiterà le gigantesche parabole del Muos, il sistema di comunicazione satellitare militare della US Navy. Per la prima volta una base militare Usa in Italia è «invasa» dalla gente. Salti di gioia, soddisfazione e felicità, delle migliaia che hanno partecipato ad una giornata di lotta che è la migliore risposta alle menzogne di Crocetta, alla politica da struzzi, alla politica dei palazzi e della retorica del potere.
Nei giorni scorsi la conferma dei sospetti sempre avuti: un preciso accordo fra regione e ministero della difesa, in base al quale il deposito del parere (addomesticato) dell’Istituto Superiore della Sanità avrebbe costituito la chiusura del cerchio per autorizzare la prosecuzione dei lavori, sulla pelle dei cittadini Niscemesi e di tutti i Siciliani.
L’azione di salire sulle antenne è avvenuta nel giorno in cui si ricorda il trentennale delle cariche poliziesche a Comiso, altra pagina di storia, che si e cercato di rimuovere, compreso le pallottole sparate in quella piazza, con le promesse mai mantenute, ennesima burla ai Siciliani.
Gli attivisti, dopo il taglio delle reti di recinzione, entrano pacificamente in massa fino alle antenne, a riprendere e liberare i propri solidali. La marcia di riappropriazione della riserva naturale Sughereta espropriata e violata dalle forze armate Usa e italiane e dalla borghesia mafiosa, ha raggiunto il suo obbiettivo. Cosi veniva definita dal movimento No Muos, sul proprio sito, http://www.nomuos.info, sito del coordinamento regionale e dei comitati. Nessuna violenza consumata se non quella solita dei manganelli.
Al giornalista de La Sicilia (di destra) che parla di flop, diciamo che oltre a non capire niente, fa del pessimo giornalismo, quando fa finta di non sapere che la scorsa manifestazione era stata preparata a lungo e aveva un altro scopo a differenza di questa che aveva lo scopo dichiarato di rompere.
Azione come rottura. Rompere con passività e paura, rompere col valore predominante, rompere con l’inerzia. Togliersi dalla realtà data dal potere e fare uscire quella generosa e vera nata dal basso. L’azione è lo sforzo di mettere in pratica tutte le credenze con te stesso o con gli altri nelle relazioni quotidiane. Al PdCA, diciamo che a chiacchiere un’idea vale l’altra, quanta gente s’infiamma sulle cazzate un giorno e mezzo e altrettanto rapidamente sparisce, e il dibattito non verrà monopolizzato da chi non ha mai fatto niente, le chiacchiere valgono solo per gli allocchi. Non vale la pena di perderci tempo.
Crocetta che si è preso i voti pure a Niscemi per la sua finta politica, ora dichiara che i Comitati No mous sono infiltrati dalla mafia, da anarco-insurrezionalisti e no global, da post hippie che suonano i bonghi; pericolosi attivisti internazionali che passano le reti, gli gnomi delle foreste; uomini uccello che fanno il nido sull’antenne ‘mericane e che le mamme no mous hanno le vampate  perchè in menopausa, a cui non aveva fatto loro nessuna promessa…!! La situazione è talmente disperata che il pericoloso pentito Antonio Matteo dichiara di consegnarsi alla giustizia ed avere, grazie a questa lotta, una nuova coscienza: “ Il Muos, come i droni di Sigonella e tutte le basi della Sicilia sono strumenti di pace e libertà contro la perenne schiavitù. Se mi sono consegnato alla giustizia l’ho fatto per amore di mia moglie e dei miei figli, perché loro non siano il bottino delle invasioni di questi nuovi barbari. Voglio dirlo a tutti. Non c’è futuro senza il Muos.  Si scherza, ovvio, è l’unico modo per rispondere alla bestialità di Crocetta, una risata ti seppellirà.
Chiudiamo con la fine del comunicato del coordinamento il giorno dopo la manifestazione: Ci hanno ingannato raccontandoci che la base NRTF di contrada Ulmo fosse una innocua stazione radio: abbiamo scoperto che non è vero. Ce lo hanno detto chiaro e tondo affermando che è un sito di interesse strategico per la difesa degli Stati Uniti. Ci dicevano che è innocua e neanche questo è vero. Insomma rifiutiamo l’inganno dell’apparato politico-militare mondiale che si esprime per bocca di ministri, generali e colonnelli secondo cui la Sicilia non può sottrarsi alla sua vocazione di portaerei “naturale” nel mediterraneo. Ecco: in ciò sta il disaccordo dell’intero popolo No MUOS e di tutti i siciliani onesti e non asserviti alle logiche mafiose dell’apparato politico-militare internazionale. Noi siamo convinti che prima o poi una portaerei verrà colpita e affondata: non vi è altro destino per una portaerei. Affermare il contrario è un inganno. Un’isola di pace è un ponte verso il futuro. E dopo Niscemi si smilitarizzi la Sicilia tutta.

Un Saluto e un abbraccio forte, complice e solidale al presidio permanente tutto.
Di ritorno uno sguardo su quella spiaggia di Catania, dove sono approdati morti altri fratelli provenienti da terre sfruttate e saccheggiate. Altre lotte, altre battaglie, si dovranno vincere.

« Ognuno sta solo sul cuor della terra
trafitto da un raggio di sole:
ed è subito sera. » (Quasimodo)

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