Mirto Crosia. Ancora quanti ?

Vincenzo Sapia, è depresso, disturbo abbastanza comune nell’alienata società d’oggi, specie in un paesino della provincia di Cosenza, che offre ben poche prospettive. Vincenzo ha 27 anni, segue una cura per i suoi problemi, abita con la madre separata e le due sorelle. Sabato quasi a mezzogiorno esce di casa, fa la strada di ogni giorno per andare in piazza del paese, dove incontrare gli amici. Lui era tranquillo parla con una signora, poi gira l’angolo, e nei pressi dell’ufficio postale, tutta la sua attenzione si concentra su un cagnolino, che si era smarrito. Bussa al portoncino privato, dove la bestiola s’era rifugiata. La signora proprietaria dell’abitazione, per paura di danni al portoncino chiama i carabinieri, che arrivano con l’auto di servizio. Vincenzo, dopo un momento di confusione, si è innervosito vedendosi davanti gli uomini in divisa, comunque anche grazie all’intervento di amici e passanti, cui racconta del cagnolino, si calma e raccoglie l’invito a desistere e prende la strada per ritornare a casa. Ma per Vincenzo il problema non è risolto, torna sui suoi passi. Ancora una volta, come forse troppe volte le sue parole e ragioni non hanno trovato ascolto. Ritorna sul posto e si spoglia. L’atto di denudarsi è simbolo di una persona che si mostra inerme, senza armi, spogliata di ogni intenzione offensiva, nuda davanti al potere delle divise, estremo atto di protesta. I due CC sono rimasti nei pressi, arriva il maresciallo e dice di ammanettarlo. Vincenzo va in escandescenza, avrebbe messo le mani al collo al cc (quello con 20 giorni di referto), e gli altri due l’avrebbero placcato e sbattuto a terra per ammanettarlo, ma lui si dimena tanto che non riescono ad ammanettarlo. Arriva la madre e il 118. La madre prima lo prende tra le braccia, respira ancora, ma molto flebilmente, subito il 118, gli mette una flebo e il defibrillatore, ma la sua vita si spegne. A quel punto i ragazzi iniziano a gridare contro i carabinieri. testimoni sono stati sentiti in caserma, questo ciò che dice la madre. Le telecamere che possono aver visto tutto si scopre non funzionano. Vincenzo, pesava 120 kg, ma non ha mai usato la sua mole per fare del male. La storia del portoncino rotto, non è vera, i giornali lo scrivono, ma i familiari di Vincenzo, che hanno controllato, dicono che non è vero. «Gli hanno strofinato il viso per terra per immobilizzarlo…. Quando sono arrivato e ho alzato quel lenzuolo bianco ho visto il volto di mio figlio nero e pieno di graffi. Gli hanno strofinato il viso per terra per immobilizzarlo» Il padre della vittima, Luigi Sapia, ambulante, grida giustizia e se la prende con i carabinieri: «Assassini». «Tutti sapevano che era malato mio figlio, che bisogno c’era di fargli del male?» Ha incarico dei legali di seguire il processo. Le stesse domande le pongono i familiari di Riccardo, per l’accaduto di Firenze, dove in Borgo San Frediano ha perso la vita Riccardo Magherini, l’ex calciatore della Fiorentina, deceduto anche lui mentre veniva fermato dai militari dell’Arma. Al di là dei problemi che poteva avere Vincenzo, si dice anche respiratori, sabato non è tornato a casa. Al di là della disgrazia, casi come quello di Aldrovandi, di Bianzino, di Uva, Cucchi, Sandri o di Margherini dimostrano che le forze di polizia italiane, non solo la polizia di stato ma anche i carabinieri, sono intrisecamente violente. E a questi vanno aggiunti tutti gli omicidi che non hanno “fatto notizia o quasi” o di tutte le violenze che non vengono denunciate e che avvengono nei commissariati, nei carceri e nei CIE. Istituzioni irriformabili e quindi da abbattere. Irriformabile perchè violente per loro stessa natura, per loro statuto. Violente per una serie di motivi che squarciano il velo di ipocrisia ideologica dello stato. Può sembrare l’ennesima speculazione ideologica su una disgrazia. Ma al di là degli accertamenti di rito ci sentiamo di dire che mentre la democrazia rantolava verso l’urna elettorale, nelle strade si consumava l’ennesimo delitto ai danni di un cittadino inerme. Chi doveva tutelare la vita di Vincenzo? Una persona che non aveva mai fatto male a nessuno? L’azione di denuncia e contrasto delle violenze perpetrate da chi rappresenta lo stato devono andare di pari passo con la denuncia dell’esistenza stessa dello stato e delle gerarchie stesse.

                                                                                                               Ernest

 

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su Mirto Crosia. Ancora quanti ?

Astensionismo consapevole vs Astensionismo di protesta

Assistiamo ad un crescente incremento delle diserzioni dalle urne, non che l’ita liano medio sia un accanito frequentatore dei seggi, c’è sempre stato un fisiologico disinteresse per le crocette sulle schede elettorali, ma da circa un lustro, il fenomeno ha cominciato a preoccupare quella politica che sui dati elettorali fonda la sua ragion d’essere. Dal voto di protesta all’astensione di protesta, il passo è abbastanza breve, assai più complesso è decifrare il dato dell’astensione in sé, quanta parte di quella percentuale è astensione consapevole, basata quindi sulla ferma convinzione che il voto sia uno strumento non solo inutile, ma che legittima lo status quo, e invece quanta parte di quel dato sia astensionismo di protesta che segue adagi del tipo “fanno tutti schifo quindi non voto nessuno”? E’ in questo distinguo che dovrebbe innestarsi l’analisi di fase, partire da un dato reale per riuscire ad estrarne non solo una sin- tesi astratta, ma individuare un’ipotesi di lavoro politico che miri tanto ad ampliare l’astensione, quanto a consapevolizzare la scelta. La complessità del fenomeno impo- ne quindi, un’analisi rigorosa e complessa a sua volta, gli stimoli che suggeriscono la diserzione sono molteplici, e non sono tutti figli del sentimento di “irrappresentabilità diffusa”, fin troppo cara ai professionisti della protesta main stream. All’interno del non voto, transitano posizioni diametral- mente opposte, tra chi attende di votare solo l’uomo della provvidenza, e chi at- tende il momento giusto, c’è chi aspetta di vendere il voto al migliore offerente e chi invece attende la rinascita di un partito ideale, che sappia condurre il popolo alla vittoria. Tale e tanta è l’isteria in questa fase che spesso a correr dietro al dato sfugge la realtà del dato stesso, sfugge il fatto che se il trend dovesse continuare imperturbato la sua corsa in salita, il residuo di votanti rimasto, deve inequivocabilmente mostrare il peso dei cosìddetti voti di potere. Più il votante medio non schierato a priori si ritira, più il residuo elettorale è leggibile in una dualità, da un lato i tesserati e gli irriducibili, dall’altro quelli “costretti” a votare; dal momento che il numero dei primi è un dato abbastanza semplice da espungere dal totale, il resto restituisce la reale consistenza dell’elettorato “condizionato”.
Mettendo sotto la lente d’ingrandimento quest’ultimo dato, emerge da un lato il
segreto di Pulcinella, ma dall’altro si viene a chiarire il meccanismo che sta alla base del consenso elettorale, e che inficia in partenza l’agire democratico come strumento plurale di governo della collettività.
L’elettore condizionato si trova imbrigliato in un sistema nel quale non può operare una libera scelta, per varie motivazioni, per convenienza, per necessità, o per coercizione; in questa fase storica la necessità, che si configura spesso nella mancanza di reddito, quindi di occupazione, tende ad essere la spinta propulsiva dominante nel condizionamento dell’elettorato.

Le promesse o le minacce legate al rinnovo di un contratto precario sono una leva potentissima per convincere qualcuno a votare Tizio piuttosto che Caio. Quindi ci si trova davanti ad un elettorato con una stratificazione che non contempla un ragionamento critico su una proposta politica,

politica, ma a fare la differenza è il livello di condizionamento, con l’alta borghesia in cima, che ha i suoi alfieri prediletti e gioca a carte quasi scoperte, poi abbiamo un ceto medio progressivamente schiacciato verso il basso che perde sempre più velocemente la libertà di espressione elettorale, in quanto sempre più schiavo di promesse per farlo uscire dal pantano dell’indigenza e riportarlo ai fasti degli anni 80’. Al di sotto c’è il granaio della politica, tutta quella fetta di società senza futuro, ricattabile e bendisposta a barattare la propria dignità per un posto di lavoro, misero, indegno e malpagato.
Ma l’illusione non dura in eterno e le promesse sono sempre più a corto di car-
burante, e anche i più ricattabili in qualche modo cominciano a dischiudere gli occhi sulla realtà dei fatti e l’arma della protesta si insinua fin dentro le cabine elettorali, in quanto implicitamente riconosciute come strumento del potere politico, senza troppi ragionamenti e analisi, semplicemente molta gente ne ha piene le tasche di un andazzo che non porta nessun cambiamento, non ci si illuda che le persone vedano la reale faccia del potere, o che abbiano finalmente aperto gli occhi e sia pronta alla rivoluzione, ste ciarle ingrassano i
blogger e gonfiano la bocca di chi ha le idee troppo corte.
Il ragionamento dovrebbe trovare la sua chiusura nel ribaltamento del fenomeno, ossia “traghettare” la protesta astensionista, in astensione consapevole, dimostrando l’inefficacia del voto, proprio in quel residuo duale che nonostante la sua irrisorietà consente la legittimazione del potere, legittimazione che potrebbe giungere anche con una percentuale di votanti inferiore al 40%. Tralasciando calcoli e percentuali, possiamo limitarci a tracciare uno scenario ipotetico, ossia che la maggioranza semplice dei votanti, su un dato del 40% è nei fatti il 21% degli aventi diritto al voto che deciderebbe le sorti di tutto un popolo, ossia meno del 10% della popolazione legittimerebbe un governo.
E su questi scenari che probabilmente va tentata una forzatura, per cercare quel punto di rottura che stenta a presentarsi, il punto di crisi, reale smascheramento del meccanismo che alimenta il sistema, è dimostrare che il voto non è che un palliativo, una frottola attraverso la quale ci si sente parte di un momento decisionale, ma l’unica decisione che viene dato di prendere è il nome del carnefice.
J. R.

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su Astensionismo consapevole vs Astensionismo di protesta

Operazione “Mare nostrum” altra mucca da mungere

Altro naufragio altro cordoglio, e probabilmente altri fondi a sostenere le operazioni per “evitare questo scempio”. Copione già visto e meno di un anno fa e immediatamente dopo si avviava l’operazione “Mare nostrum” (della quale abbiamo già parlato metti il numero di UN che non mi ricordo) una sorta di draga che riesce a grattare circa 12 milioni di euro al mese dal fondo di un barile statale sempre più asciutto. Ci si chiede, se le rotte delle carrette del mare sono grosso modo note, se l’approdo è quasi sempre Lampedusa e i punti di partenza sono Libia e Tunisia, com’è possibile che in un’operazione nella quale si impiegano droni, incrociatori, aerei ed elicotteri, non si riesca ad individuare nulla di nulla prima che sia troppo tardi? Forse perché le carrette dei mari sono l’ultima cosa che si vuol trovare con i mezzi a disposizione, forse perché ancora una volta si mette in evidenza la natura strategico difensiva dell’operazione mare nostrum, e non umanitaria, forse perché il controllo è indirizzato a tutt’altre faccende che di umano hanno solo l’interesse economico.

In questo mare di contraddizioni interviene Alfano svelando l’arcano, in quanto inun’intervista afferma un qualcosa che dovrebbe far accapponare la pelle invece provoca quasi un sollievo nello spettatore medio, afferma l’Angelino nazionale, che i migranti non vogliono soggiornare in Italia, quindi la strategia è di creare campi di accoglienza nel Magreb e un corridoio per il transito nei paesi di destinazione e che l’Europa faccia la sua parte nel concorrere alle spese.
Sorge una domanda, se i migranti vengono “ospitati” sulle sponde dell’Africa, e poi gli si dovrebbe lasciare via libera per percorrere l’Italia, e se non sono previste modalità di attraversamento del mediterraneo, l’unica risposta è che si legittimi la tratta dei migranti con la modalità “classica” delle carrette, però poi gli si dovrebbe consentire il transito verso i paesi di destinazione, sembra quasi un’accelerazione delle procedure per rendere efficiente il meccanismo, la gente arriva con flussi continui, i CIE lavorano a ritmo serrato, si arricchisce chi gestisce il ciclo dei CIE e la logistica che gli gravita attorno, si arricchiscono gli scafisti, festeggiano i Leghisti che vedono i migranti sfilare ma non si fermano, alla fine siamo tutti contenti e paga sempre Pantalone. Un piano perfetto che non fa una piega, Quindi ci ritroviamo a sborsare quattrini per finanziare luoghi di detenzione illegali, per mantenere in perfetta efficienza la macchina bellica della marina, e per sostenere tutto l’apparato logistico per garantire rifornimenti, generi di conforto ecc ecc, un modo pratico per mantenere alto il PIL o un sistema collaudato per spillare soldi alla collettività, aumentare il debito e gonfiare le saccocce di pochi fortunati che dietro compenso si accaparrano appalti di fornitura e gestione? Il buisness legato alla questione dei flussi migratori è uno di quei puntelli strategici messi in atto per garantire produttività ad aziende di varia natura in periodo di crisi, per mantenere potentati economici all’interno delle scelte politiche di un paese sempre più in balia delle leggi di mercato e sempre più disposto a fare utile sulla pelle delle persone. Militarizzazione dei territori, repressione senza quartiere, sgomberi e vessazione di tutto ciò che si muove al di fuori delle logiche di profitto, connotano la fase attuale, e l’inversione di tendenza non può che partire dal riconoscere che ambiti apparentemente slegati sono in realtà più contigui di quanto non si creda.

Il sodalizio tra il reato di clandestinità, la grande distribuzione e lo sfruttamento del suolo è un intreccio che sostiene a sua volta, la militarizzazione e la repressione, le risposte a questi intrecci sono l’organizzazione dei migranti, le occupazioni a scopo abitativo, i circuiti di produzione agricola a Km zero e l’integrazione culturale, che vengono sistematicamente ostacolati dall’intervento dello Stato.

                                                                                                                                                       J. R.

 

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su Operazione “Mare nostrum” altra mucca da mungere

Non si può morire per una partita di calcio

 

Stato carogna, media canaglia

La curva è stata per molti anni uno spazio sociale liberato negli ingranaggi del potere, in un contesto tutt’altro che facile, corroso dalla malavita, dall’eroina e dal disagio. Una zona temporaneamente autonoma dalla quale sono nate idee ed iniziative che hanno superato i confini della città e della nazione. Nelle curve si trova di tutto, com’è giusto che sia.

Le forze politiche di sinistra hanno di fatto abbandonato un terreno di aggregazione giovanile in mano alla destra, e fatto si che molti ragazzi ne subissero l’influenza, determinando uno spostamento a destra, politicizzando anche là dove non era presente. Se alcune di queste realtà hanno assunto determinati connotati, la responsabilità è dell’indifferenza e di quel criminalizzare, assunto anche a sinistra. Diffidenza alimentata da entrambi le parti e in diversi ambiti, è chiaro.

La politica in curva è stata sempre estremizzata, portata al limite, per sua natura del fenomeno Ultrà, cambiandone però la mentalità e l’etica.

Se anni fa si poteva forse pensare che il fenomeno Ultrà fosse d’impronta maschilista con atteggiamento autodistruttivi, uso smodato di droghe, ecc. Oggi i toni si sono ancor più caricati di razzismo, cameratismo d’impronta maschile, fino ad arrivare in alcuni casi ad una vera e propria estetica della morte. Ma di contro non mancano Ultrà di sinistra, antagonista, a tratti anarcoidi, con le sue icone che vanno dal Che Guevara Marcos, da Bresci a Stirner, con diverse esperienze positive e propositive, che si riconosco in un sano ribellismo giovanile, legati ai centri sociali, ai cortei contro le guerre e precarietà, per il diritto all’abitare, ecc con esperienze concrete, in crescita negli ultimi anni di un calcio popolare dal basso espressione di quartiere.

E come non ricordare il FARE, Football Against Racism in Europe.

L’Italia sempre più viene spinta verso un regime, in cui il dissenso non può esistere. La violenta occupazione militare in Val Susa, l’assedio mediatico al movimento, le derive populiste e xenofobe leghiste o di Grillo, la meritocrazia e l’incubo di un paese normale targato PD, l’ossessione di distruggere ogni forma di aggregazione “altra” nella società. L’intento è distruggere, ogni sacca di ribellione pura, anche nelle curve, per trasformarle in un surrogato del potere, senza menti pensanti, senza libertà di espressione e soprattutto senza antagonismo sociale. Quell’antagonismo sociale “critico” e creativo che rappresenta da anni la “controcultura ultras”per il suo valore aggregativo, partecipativo e solidale, dove le iniziative di sostegno ai detenuti, le campagne di solidarietà, le lotte per la giustizia sono state innumerevoli.

I fatti veri e propri di quel sabato scorso, ci dicono che Ciro, ultrà del Napoli, si trovava nel posto sbagliato al momento più infausto. E non c’è arrivato solo.

Quello che non si è detto che a scontrarsi con i napoletani è stato un gruppo di fascisti che si trova nei paraggi di una delle tante “occupazioni non conformi” (di destra, del giro di casa pound) a Tor di Quinto, a diversi chilometri dallo stadio. È strano che nonostante i numerosi controlli che un tifoso subisce ogni volta che decide di seguire la sua squadra (tessere, biglietti nominali, fotografie personali), le forze dell’ordine abbiano fatto parcheggiare i napoletani in una zona dove spesso accadono scontri e sono più volte partiti assalti contro tifoserie ospiti. Altrettanto strano è che nessuno abbia detto che gli assalitori stavano nascosti in una occupazione fascista, lontana dallo stadio. E se la rissa fosse scoppiata vicino ad un centro sociale occupato da compagni invece cosa sarebbe successo? Cosa avrebbero detto i media di regime??

I ministri Amato, Pisanu, Maroni e Alfano hanno partorito leggi speciali degne della fase più calda degli anni settanta. Stadi trasformati in bunker, tornelli, metal detector, telecamere a circuito chiuso, trasferte vietate, obblighi di firma per decine di migliaia di persone, arresti in differita, striscioni e fumogeni vietati, super poteri ai questori, biglietti nominativi, tessere del tifoso, pestaggi e cariche, gas intossicanti. A nessuno viene il sospetto che tutto ciò non solo non è servito, ma ha contribuito a inasprire la violenza intorno agli stadi, disgregando i gruppi storici, separando le nuove generazioni dalle vecchie, trasformando molte curve in centri commerciali e milizie.

L’ispettore Raciti, come si evince nell’inchiesta super partes e nel libro “il caso speziale”, è stato ucciso da una manovra “sbagliata” di un suo collega che l’ha investito con un discovery della Polizia. Questi sono i fatti e della realtà cui poco se ne importano cari giornalai di regime.

In Italia certe verità istituzionali diventano atti di fede, dogmi indiscutibili. Pensiamo alle stragi di Ustica, Piazza Fontana e i Georgofili. S’è deciso che Raciti è stato ammazzato da un ultrà. Punto e basta. Nessuno può metterlo in discussione, anche a costo di seminare nuovo odio, di infondere quel sentimento di indignazione dinanzi all’ennesima ingiustizia perpetrata da uno Stato fondato sul principio dell’emergenza e della deroga al Diritto.

Certe armi hanno sempre circolato intorno agli stadi. La vera novità sarebbe rappresentata dall’uso di una pistola. Si preferisce invece puntare l’attenzione sul capo ultrà, sulla sua maglietta, insomma su tutti tranne che sulle forze politiche ed economiche che hanno voluto smantellare le tradizionali forme del tifo organizzato. Non rimane traccia delle relazioni scritte dai servizi segreti a cavallo tra lo scorso decennio e quello odierno, sulla possibilità che il mondo delle curve potesse impegnarsi in insorgenze sociali simili a quelle che sarebbero avvenute nelle piazze della primavera araba, gli apparati di sicurezza hanno prescritto la terapia della sterilizzazione preventiva. Così, a colpi di repressione, feriti e morti ammazzati, hanno spinto i gruppi organizzati verso una deriva senza via d’uscita. E non è forse anche conseguenza della militarizzazione degli ultimi anni?

Uno che non va più allo stadio.

 

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su Non si può morire per una partita di calcio

LA CASA È DI CHI L’ABITA

10298839_881602431865613_7067646695719605544_nQuello che è accaduto giovedì 15 maggio a Cosenza non può che lasciare perplessi ed esterrefatte. Ancora una volta la mano repressiva dello stato con scudi caschi e manganelli, si abbatte sulle classi sociali più deboli, migranti e precari senza casa, che pagano più di tutte/i pagano il peso della crisi. Un edificio vuoto e in disuso, aveva dato finalmente un tetto a chi non c’è l’ha. 10306266_881631385196051_7140849114161014360_nUn azione di riappropriazione dal basso, ne aveva fatto un luogo di socialità, risposta concreta ad un bisogno primario, in netta contrapposizione alla carità di facciata di larga parte del clero, compreso le suore del “sacro cuore del verbo incarnato” proprietarie dell’immobile. È facile parlare da un altare o nel chiuso dei monasteri di solidarietà, è semplice parlare dalle dorate stanze del vaticano, dell’opportunità di aprire le porte ai poveri. Ma quando i poveri si autodeterminano, prendendo in mano il proprio futuro senza delega, senza clientelismo, dismettendo l’atteggiamento remissivo e sottomesso tanto caro non solo alla chiesa, ma anche al potere, allora i poveri fanno paura, e vanno sgomberati, manu repressiva, e, denunciati. Le rassicurazioni di Palazzo dei Bruzi (sede del Comune, commisione Welfare, ecc.), dell’Aterp (case popolari), della Prefettura (tavolo tecnico) si sono dimostrate ancora una volta prive di fondamento. A Cosenza ormai trovano spazio solo i bei salotti, i corsi eleganti, le luminarie, le operazioni di facciata. 1625623_10203621886609394_1967235571105267164_n Sgombero che è avvenuto all’indomani, della stupenda e partecipata manifestazione #decidiamonoi, abbiamo a cuore il nostro territorio, di sabato 10 proprio a Cosenza, che si poneva in contrapposizione, contro le speculazioni sul ciclo dei rifiuti e il consumo del territorio, delle giunte regionali e cittadine. Anche il governo Renzi l’ha dimostrato, l’emanazione dell’articolo 5, toglie insieme a luce e d acqua, ogni speranza a chi si pone al di fuori delle logiche clientelari, recepito subito con sgomberi e denunce a Cosenza come altrove dove la casa da diritto è divenuta privilegio. È necessario allargare il fronte solidale con chi non si piega a cercare risposte ormai risicate dal sistema, sempre più solo garante degli interessi di pochi. I bisogni non trovano risposte nè collettive, ne particolari nelle urne. Le Anarchiche e gli Anarchici della Fucina, esprimono la propria solidarietà agli occupanti in lotta per un tetto ed una vita dignitosa, la vicinanza ai Comitato Prendo Casa Cosenza, che ha condotto con determinazione questa lotta dall’asfalto al tetto del convitto. Al blocco del salotto buono della città con più di 100 fra celere e CC, si è resistito per ben 5 ore, rumoreggiando con casseruole e slogan, chiediamo diritti, ci danno polizia, è questa la vostra democrazia. È evidente che solo l’autorganizzazione della lotta dal basso, la solidarietà concreta per la riappropriazione dei bisogni, della propria vita, nei propri territori, può portare a dei risultati; come si è dimostrato in questa ed altre vicende. È su questa strada che occorre tettocontinuare a camminare. Come si è fatto ritornando dal tetto all’asfalto, dove ieri, venerdì, un corteo spontaneo è tornato per le strade della città fino al luogo dello sgombero, luogo dove la pietà cristiana è morta, la legalità ha mostrato la sua essenza violenta e la solidarietà in un futuro diverso vive solo nella lotta.

corteo

LA CASA È DI CHI L’ABITA, È VILE CHI LO IGNORA, BASTA SFRATTI E SGOMBERI! COSA VOGLIAMO? VOGLIAMO TUTTO! CASA, REDDITO E TETTO! OCCUPEREMO TUTTO IL TERRITORIO, PRENDENDO QUELLO CHE CI SPETTA, OCCUPIAMO QUA, OCCUPIAMO LÀ, RIPRENDIAMOCI LA CITTÀ!

Cosenza 17/05/14                                                                        FucinAnarchica

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su LA CASA È DI CHI L’ABITA

#decidiamonoi

In migliaia di tutte le età per le strade di Cosenza dietro lo striscione #decidiamonoi, con un unico fine: dare vita ad un altra politica sul ciclo dei rifiuti, virtuoso, ecosostenibile e libero da interessi clientelari e affaristici.1549251_10203156020159979_5412060471422021438_n

I tamburi suonano la carica in testa al corteo, un serpentone colorato e comunicativo a tratti festante, con cori e musica popolare percorre le vie del centro di Cosenza. Comitati arrivati da ogni angolo della Calabria: dalle vicine Donnici e Rovito, la presila dei blocchi di questa primavera che fa ben sperare; i comitati dell’area urbana: “No Megadiscarica di Castrolibero” e “No alle discariche” di Rende; il Pollino, del RASPA ad Alessandria del carretto, a Francavilla, a Castrovillari; dal Tirreno, Diamante a Paola e Praia; dal medio Crati, di Bisignano e di Acri, Torano c’è, scendendo il Comitati di Lago con la discarica di Giani, al Lametino, Pianopoli c’è, il comitato di Serrastretta con la sua discarica che ha raccolto per anni il tal qual quale di tutta la regione; allo Ionio di Rossano, il Comitato di Bucita, Le Lampare di Cariati; il Crotonese Terra e Aria; Catanzaro c’è, come pure i briganti di Serra San Bruno, ai Comitati del Reggino. Tutti presenti per riprendersi la loro terra e il futuro.1557577_10202873792679323_2485303027657813003_n

La manifestazione si apre dopo un saluto di benvenuto ai comitati citati, con la dichiarazione della vicinanza alle lotte contro la devastazione del territorio, come in Val Susa e No Muos, le cui bandiere stanno ai lati del furgone amplificato che ospita il media center, con la diretta audio e video. Da subito viene ricordato il corteo che percorre le strade di Torino, “Colpevoli di Resistere” Torino Cosenza, stessa resistenza, è la vicinanza a Matteo, Chiara, Niccolo e Claudio.

Quasi vent’anni, compreso il commissariamento, due miliardi di euro spesi per ritrovarsi ancora con le strade piene di sacchetti di spazzatura, impianti per il trattamento fantasmi, diventati discariche grazie alle ordinanze ultime del tal quale; con le coste, le colline di un territorio a vocazione agricola violentate dall’avidità e di una classe dirigente in collusa con imprenditori privati “borderline” del ciclo dei rifiuti. Moltissimi i giovani, ma anche persone anziane, contadini con i loro trattori, famiglie, esercizio in autonomia di un’altra politica, preparata con assemblee, dibattiti e reale partecipazione dal basso. 10300316_10204062942081835_8032488088952067975_nIl corteo si ferma più volte, viene inscenata una performance. Finti spazzini in maschera anonima buttano dei sacchetti con la faccia di un imprenditore della spazzatura o di un politico. I bambini ci giocano a pallone, gli spazzini usano la classica ramazza, in mezzo alla folla che applaude e li buttano in un grande sacco nero. «Contiene soggetti pericolosi», e dentro vi finiscono, i politici di destra e sinistra, il mai dimesso Scopelliti, l’assessore Pugliano, gli ex Loiero e Chiaravalloti, il fascista Orsomarso, gli imprenditori Guarascio, Vrenna, che gestiscono pure società di calcio, Gualtieri, e la famiglia Gentile, col suo clientelismo e nepotismo. Performance liberatoria colta e applaudita da chi vuole difendere il futuro dei propri figli da veleni e tumori che il ciclo dei rifiuti, porta con sé da decenni. Un dispositivo di controllo e repressivo esagerato, giusto per far sentire ancora una volta il fiato sul collo dei manifestanti, che già nei blocchi alle discariche hanno conosciuto il gelido alito di quella legalità e democrazia di facciata, buona finché ne accetti i presupposti, di essere governati da tecnocrati che nulla sanno del territorio, delle aspirazioni di chi ci vive. Dai microfoni viene ripetuto più volte, la soluzione è la differenziata spinta porta a porta, con comunità responsabili dei propri rifiuti, chiudere le discariche invece di aprirne nuove, bonificare quelle esistenti, messa in sicurezza dei siti inquinati, realizzare impianti che servano davvero a riciclare i rifiuti e non a ospitarli senza selezione. 10259954_10203793138099781_383201361468009896_nL’ennesima richiesta del registro dei tumori. Concetti chiari conosciuti e dibattuti: rifiuti zero e auto determinazione dei territori. Fischiata la segreteria di Forza Italia, in cerca di pubblicità, cui seguirà un comunicato, assediata per due ore (!?!), meschini, davvero non sanno che inventarsi per farsi pubblicità. Il corteo si ferma a metà di corso Mazzini, la piazza principale è preclusa-prenotata, negli ultimi giorni. Non importa, molti cosentini sono presenti, tutti sanno, nell’avvicinamento alla data è stato più volte registrato. E tutt* si sentono coinvolti, anche chi ironizza, o fa finta di niente. Ognuno ha i suoi rifiuti da tenere giorni in casa, o rimasti fuori al portone o all’altro lato della strada. La manifestazione #decidiamonoi, ha espresso, non solo una richiesta come dice qualcuno alla politica. Non è così, per gli organizzatori, e i partecipanti, per la loro coscienza cresciuta nelle lotte di quest’ultimi mesi alle varie speculazioni, negli accadimenti quotidiani. La distanza dalla politica istituzionale, il riconoscere chiaramente quel grumo nero d’interessi diversi coagulati sulla sopraffazione, dominio, sul resto della popolazione, con ampi settori, sempre stretti da una crisi senza via d’uscita, pongono altre pratiche altre risposte che nessun urna elettorale potrà più contenere. Se il Re era nudo, ora puzza pure, nauseabondo cadavere, impossibile da riciclare è tempo che #decidiamonoi.

Pubblicato su Umanità Nova n.16 anno 94                                          Orestes

partenza

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su #decidiamonoi

ROMA 12 APRILE. Il Piano Casa di Renzi? Tra manganelli, botte e distacchi

corteo Più di 20mila persone, con una composizione prevalentemente romana fra cui moltissimi migranti e giovani. Percorso militarizzato come ormai di consueto, con un dispositivo pesante. Lo Striscione: “Ribaltiamo il governo Renzi, Cancelliamo il decreto Lupi e Jobs Act” campeggia nel corteo. Ancora si legge “Il nostro piano casa, occupiamo tutto”. Sui muri manifestini che dicono “Potete chiamarci Neet, ma rimaniamo precari incazzati” (acronimo inglese che indica chi non studia, non lavora e non fa formazione, e aggiungiamo se fa sport, non è d’elite, ma nelle palestre popolari, non guarda la tv, sta nelle strade e nelle curve, nei centri sociali, non crede nelle rapporti fissi, ma cerca comunque l’amore) . Qualche manifestante orina davanti alle sedi dei ministeri, come un gruppo di donne a difesa della legge sull’aborto, all’ingresso di quello della Salute. Tutto sempre documentato in diretta su Twitter e sugli altri social network e sulle radio di movimento. Negli “scontri”, sul selciato restano tantissimi k-way azzurri, uno dei simboli della giornata. Ci auguriamo di non vederli più. Soprattutto di non vederli correre dando le spalle alla polizia, che come un cane da caccia fiuta la preda e viene ancor più aizzata dalla corsa. 10174843_10201685602926895_8793609303420237651_n Una volta i cordoni erano l’ossessione di ogni gruppo politico, misura e vanto di ogni collettivo, specchio della forza e della loro capacità di tenuta, per difendersi dalle forze del disordine, certo, ma anche da fasci e alla bisogna purtroppo da usare contro chi la pensava diversamente. Ragionevolmente sono scomparsi, per la loro capacità di respingere la gente, quando era la fase della cosidetta società civile, finalmente divenuta moltitudine; ma oggi che la crisi avvicina le persone nei bisogni e nella giusta necessità di lottare per esistere, forse occorre ripensare all’utilità del sapersi disporre in piazza, nel necessità di dover difendere un corteo dalla brutalità della polizia. black_ Le ambulanze soccorrono i manifestanti e gli agenti contusi, quattro cariche di alleggerimento, decine di minuti di “scontri”. La giornata del 12 risolta in escalation dalla lattuga alle bombe carta, l’assedio al palazzo termina con una ritirata che poteva risultare ben più disastrosa, del ferito grave alla mano e dagli fermi e arresti. Corpi schiacciati, impauriti, sofferenti, occhi di bambine. Quale ricordo rimarrà, in quale coscienza vivrà? Il Governo Renzi, ha avviato col Job Act e il decreto Lupi, l’ennesimo attacco alle fasce popolari. Due atti che influenzeranno la vita di milioni di persone, la maggior parte dei quali vive sotto la soglia di povertà, limite fissato dagli istituti governativi e filopadronali, da loro stessi cioè. In una società meritocratica e classista, il benessere la felicità hanno dei parametri. Le risorse, però, sono solo per le imprese, le loro banche, e i loro governi. Lacrime e sangue nei cantieri, nelle fabbriche (una volta), oggi nei CIE, nelle campagne, nei cosiddetti paesi in via di sviluppo, figuriamoci in quelli che ne hanno solo l’aspetto della distruzione e devastazione delle vite e di interi territori. La lotta per la casa esprime l’universale diritto ad avere un tetto, il benessere che oltre a soddisfare un bisogno, con la lotta, prova a immaginare un futuro conquistato a spinta, per non vivere più come schiavi. È nella casa che si spende la maggior parte della vita, in cui l’umano, morale e materiale e i sentimenti nascono e vivono, dove si pensa di vivere in serenità con la propria famiglia e amici più cari; dove poter curare la crescita dei propri figl*. La lotta per la casa s’intreccia con la lotta per la difesa del territorio, per fermarne il consumo, occupare case vuote per fermare la vorace speculazione edilizia. Se i confini fra gli stati sono quasi ormai inesistenti per le merci, se quasi sembrano più labili per le donne e gli uomini, che girano il mondo in cerca di un esistenza, non è così per le lotte. Va costruito con urgenza un tessuto internazionalista e federalista, perché gli occhi di quella bambina non era italiana, e chissà a quale miseria e guerra ha già assistito. Come pure la mano che ha fermato la porta della metro per fare entrare giovani compagn*, mentre con l’altra fermava i controllori-guardie. La giornata del 12 non ha vissuto quella pluralità di pratiche che è auspicabile per la crescita e rafforzamento del movimento. È stata una giornata, però, caratterizzata dall’incapacità di (auto)gestire la piazza, di auto-tutelarsi, e dall’uso spregiudicato delle lotte per le esigenze di spettacolarizzazione di certe aree. Le lotte sui bisogni primari sono delle lotte fondamentali, necessarie per riappropriazione di spazi e la creazione di autonomia di classe. Proprio per questo non possono essere lasciate in mano ai “dirigenti di movimento”. Solo gli oppressi potranno essere i protagonisti della loro emancipazione. Le lotte non sono una questione di estetica. Le lotte si costruiscono giorno per giorno, sporcandosi le mani nelle e con contraddizioni. flag
Altro dato che è emerso con forza dalla giornata romana è stata la forte volontà repressiva del governo Renzi. Un governo che ha approvato, dopo pochissimo tempo dal suo insediamento, una serie di provvedimenti che attaccano direttamente il movimento per la casa (d’altra parte quando si mette un ciellino come Lupi alle infrastrutture e un legacoop al lavoro…).
Proprio per questo è urgente costruire e ampliare un movimento reale, scevro da avanguardismi e in grado di portare avanti una risposta, sempre più urgente, alla macelleria sociale.
Orestes

Pubblicato su UMANITÀ NOVA n.13 anno 94

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su ROMA 12 APRILE. Il Piano Casa di Renzi? Tra manganelli, botte e distacchi

ECONOMIA: Potere è corruzione. Sistema Italia

Estorsione, concussione, illecita concorrenza con violenza e minaccia, calunnia, favoreggiamento personale e riciclaggio, aggravati dal metodo mafioso, ed esisteva anche induzione a concussione e falso in bilancio. Non c’è settimana che le cronache del bel paese, da nord a sud non ci restiuiscono tali notizie. La corruzione in Italia vale 60 miliardi, una cifra indicata in documento della Corte dei Conti. Anche questa cifra, è solamente una stima, una misura approssimativa. Per altre stime il doppio. In un suo rapporto, la Commissione Europea nota che secondo un recente sondaggio, per il 97% degli interpellati in Italia, considera che la corruzione è diffusa nel loro Paese (la media europea è del 76%). Il 92% delle imprese italiane crede che il favoritismo e la corruzione ostacolino la libera concorrenza. Curioso che solo il 2% degli interpellati ammette di essere stato oggetto di richiesta di di una tangente nell’anno precedente il sondaggio. Può essere che la risposta è influenzata dall’imbarazzo di ammettere la verità, nonostante l’aumento quasi coato delle partite Iva fatte aprire a molti precari. Dal rapporto emerge che la corruzione non riguarda solo il settore pubblico, ma anche quello privato. L’Italia non ha ancora pienamente trasposto una direttiva europea per lottare contro questo fenomeno, ha un sistema di contabilità societaria che non rispetta la Convenzione penale contro la corruzione del Consiglio d’Europa. La Commissione non ne parla, ma dietro al fenomeno della corruzione si nasconde in Italia il clientelismo in un ambiente economico e un sistema sociale poco trasparenti. Per Transparency International, tra i paesi del G20 l’Italia si colloca oltre la prima metà della lista, peggiori solo Brasile, Cina, India, Argentina, Messico, Indonesia e Russia. Meglio di noi la Turchia e l’Arabia Saudita. Per fare un confronto, basta dare un’occhiata alla collocazione di paesi europei, come la Francia, al 22esimo posto con 71 punti, la Spagna, al 40esimo posto con 59 punti, o la Germania, al 12esimo posto con 78 punti. Tutti ben oltre la sufficienza. I soliti Danimarca, Finlandia, Norvegia e Svezia, conquistano i primi posti in classifica. Transparency International denuncia, ancora che più dei due terzi dei 177 Paesi ha un indice inferiore a 50, su una scala da 0 (altamente corrotto) a 100 (molto pulito). Ciò significa che la stragrande maggioranza delle nazioni al mondo non arriva ad un livello sufficiente di trasparenza. E l’Italia è tra queste. La classifica è aperta da Danimarca e Nuova Zelanda, che hanno entrambe 91 punti e si collocano al primo posto, mentre Afghanistan, Corea del Nord e Somalia chiudono l’elenco con 8, miseri punti. Ovunque, la corruzione politica, il finanziamento ai partiti e il controllo sui grandi appalti pubblici sono indicati dagli esperti come i settori maggiormente esposti al rischio. Per questo motivo rendere più trasparente il settore pubblico rimane, secondo Transparency, una delle sfide più importanti al mondo, “perché è nella corruzione della politica, delle forze dell’ordine e del sistema giudiziario che trovano un ostacolo tutti gli sforzi per affrontare i problemi del cambiamento climatico, della crisi economica e della povertà”. A dispetto degli istituti sopracitati, noi pensiamo che dove c’è potere c’è corruzione. Non si può confondere causa con effetto. Quando a decidere tutto, in regime di autoreferenzialità, sono il Consiglio d’Europa e le Commissioni. Quando la Merkel, e il gruppo di Francoforte, i titolari della Banca Centrale e del Fondo Monetario Internazionale, dal leader dell’Eurogruppo J.Claude Junker e dai due presidenti dell’Ue, Barroso e Van Rompuy. Questi personaggi privi di legittimità elettiva, rappresentano interessi privati, elaborano trattati come quello di Lisbona, che obbliga i governi nazionali, presenti e futuri – a prescindere dal loro colore e vocazione – a rispettare i vincoli di bilancio che si pretende vengano inseriti nelle singole Costituzioni: uno schiaffo all’autonomia politico-normativa degli Stati membri, che l’Italia dei Monti-Napolitano, e figliocci Letta e quindi Renzi hanno recepito.

 

Il fatto è che l’eurozona è ridotta a un cumulo di macerie, con una disoccupazione soprattutto giovanile drammatica e in crescita, con la produzione di ricchezza reale in calo o in stagnazione, un continente in rapido declino, con l’aumento in progressione geometrica dei livelli di povertà anche di categorie sociali, quali il ceto medio, fino a poco tempo fa esente.

 

Le lotte ambientali degli ultimi anni, hanno fatto emergere, che esiste un grumo nero, fra aziende e politica istituzionale, che decide sulle vite e i territori. Formalmente nessuna politica industriale può prescindere dal un dettato costituzionale che dovrebbe in prima istanza tutelare la salute dei cittadini. In realta l’ex bel paese è pieno di territori devastati da impianti che inquinano impunemente. La salute di intere popolazioni è minata da ogni genere d’insediamento, anche se improduttivo, con un lascito di terreni incoltivabili, allevamenti impossibili, equilibri biologici ormai compromessi per sempre. Emergere con chiarezza, una corruzione strutturale delle élite e delle classi dirigenti sempre più pervasiva, ancora più estesa di quella scoperta con tangentopoli nei primi anni ’90, che restituisce un sistema di disuguaglianze e ingiustizie senza pari. L’estensione della evasione fiscale da parte dei più ricchi e l’estensione dell’economia criminale, dove il confine fra legale e illegale è ormai offuscato, ed è sotto gli occhi di tutti. Si diventa ricchi solo se si ruba. Nuovi modi di operare e nuove istituzioni dal basso possono prendere forma solo nel concreto dell’azione. La sinistra che a Marx, Engels, ecc. ha fatto riferimento, doveva almeno tenere conto del fatto che il capitalismo non poteva che portarci alla crisi attuale dalla quale non si esce se non si è preparata una società diversa. Per viltà, corruzione e stupidità la sinistra istituzionale si è affidata alla mistica del mercato e della concorrenza per la quale si ha il dovere sociale di essere ricco e che quindi ove non lo fossi, sei un cretino immeritevole. Tutti sanno benissimo cosa sia la corruzione, dove si annida, come si sviluppa. I cittadini sanno perfettamente che se non trovano la possibilità di avere dei servizi è dovuto alla corruzione. Se ogni cosa costa dieci volte quanto dovrebbe costare ciò è dovuto alla corruzione, come pure trovare o meno un posto di lavoro. È possibile che restino solo gli anarchici a ricordarlo? Qualcuno anche nella sinistra dei movimenti vagheggia di partecipazione pubblica. Ricordo che “Non si può parlare di partecipazione pubblica senza parlare di uguaglianza, di giustizia sociale e ambientale, di libertà e felicità. Si tratta di decidere di sé, della propria vita per conto proprio e di decidere collettivamente di quel territorio, materiale e immateriale, reale e metaforico, che abbiamo in comune con tutti gli altri, dal locale al mondo intero.” E la questione determinante è trovare metodi di decisione e dibattito capaci di coinvolgere chi solitamente non ha voce in capitolo.

 

Orestes Accio

 

 

 

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su ECONOMIA: Potere è corruzione. Sistema Italia

LA CASA È DI CHI L’ABITA

…e vile chi l’ignora.

Salutiamo la nuova occupazione del comitato Prendocasa Cosenza, di Venerdi 28 marzo, in via Neghelli n 5.

casa
Il palazzo in oggetto, vuoto da diversi anni, è stato conquistato alla sua funzione: dare un tetto a chi non ce l’ha. Sono tantissime le persone in emergenza abitativa nella nostra città, come testimoniano le altre occupazioni, non solo a Cosenza, segnale concreto non di un malessere diffuso, ma di una criminale politica che ha il solo scopo di consumare territorio e foraggiare la speculazione del mattone.
Dal vecchio leone socialista Mancini, la città bruzia ha conosciuto un abnorme sviluppo edilizio, che ne ha mutato radicalmente l’aspetto. A fronte di un centro storico, sempre più abbandonato e degradato, si è preferito costruire palazzi su palazzi che oggi rimangono sempre più vuoti. Sul fronte dell’edilizia popolare, invece, si è assistito ad uno spaventoso immobilismo, probabilmente conviene di più  favorire i costruttori privati e collusi con i poteri forti che non garantire diritti agli uomini ed alle donne senza casa.
Non sono i governi delle banche, del rispetto del debito pubblico, che possono risolvere, positivamente, le esigenze di chi non ha un tetto, un lavoro, un futuro, né tanto meno Renzi, il nuovo clown-avventuriero che difende sempre e solo gli stessi interessi, potrà  dare nuove ricette. È evidente che siamo di fronte ad una crisi di sistema voluta per negare diritti e libertà. cas
Non ci sono governi, non  ci sono deleghe possibili. Ogni governo non è che espressione di una determinata classe sociale che difende con le unghie i denti i propri privilegi a discapito di tutti gli altri. Anche se un governo avesse intenzione di emanare delle riforme in favore delle classi sociali subalterne, tale atteggiamento non sarebbe che il frutto di un ragionamento di convenienza, come è accaduto nel passato, e non andrebbe a “regalare” alcuna reale libertà. Si tratterebbe solo di inutili palliativi per accrescere il potere di acquisto e per ottenere la cosiddetta  pace sociale.
Auspichiamo, che l’azione diretta di riappropriazione, avvenuta nei giorni scorsi, come altre in varie località, – giusta risposta dal basso – unitamente alle lotte che avvengono in difesa del territorio dalle devastazioni, per la difesa dei posti di lavoro, ancora non delocalizzati dagli avidi padroni, superino, la dimensione frammentata e vertiziale e acquistino, finalmente, un’ottica globale di reale di emancipazione, sempre più autenticamente solidale, internazionalista, libertaria.

Fucina Anarchica
Cosenza 1 aprile 2014.

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su LA CASA È DI CHI L’ABITA

AUTORGANIZZAZIONE SOCIALE. GAS: 10 anni e non sentirli

Cosenza: La Redazione locale di Umanità Nova incontra Stefano, del GAS Cosenza, della Rete Utopie Sorridenti (http://www.utopiesorridenti.com/), per i 10 anni di un percorso di autorganizzazione sociale unico in Italia meridionale

gas

– Salve Stefano! Sono ormai 10 anni di questo sodalizio criminale contro il capitale! 10 anni di questa aporia come dicevi nel decennale, in cui si vuole unire, l’acquisto, il concetto dello scambio con la vil moneta e la prassi etica di un agricoltura sostenibile, naturale e biologica, nella Calabria Citerione, raccontaci un pò…. ” 10 anni fa con un gruppo di amici, dopo una intensa due giorni presso Rossano con il coordinamento delle botteghe del mondo, abbiamo pensato di creare una mailing-list che facilitasse la comunicazione tra di noi e di iniziare una mappatura di quelle realtà dell’AltraEconomia presenti sul territorio con cui pensare di fare un percorso comune. Qualche mese dopo qui a Cosenza si sono svolti una serie di incontri tra la sede del Centro Sociale Gramna e quella della Casa dei Diritti Sociali. Il risultato di queste prime riflessioni è stato l’inizio della sperimentazione del consumo critico attraverso lo strumento e le modalità di un Gruppo di Acquisto Solidale. Un gruppo di attivisti, qualche famiglia ed un contadino biologico. L’obiettivo era ed è quello di praticare quotidianamente quello che si urla in piazza nelle nostre manifestazioni, l’alternativa ad un sistema economico e sociale aberrante. Le modalità erano più o meno simili ad oggi, prenotazione della cassetta preassemblata, ritiro presso la sede nel Centro Storico, momento di riflessione e convivialità. Dopo un pò la sede del GAS passò dal secondo piano di Corso Garibaldi alla sede della Cooperativa Sociale “il Sicomoro”, certamente più comoda, per poi passare alla sperimentazione una volta al mese presso Piazza Matteotti, nel centro di Cosenza, del Mercatino Bio-Etico con la presenza diretta dei produttori nel frattempo diventati una decina.
L’ultimo trasloco c’è stato nel 2008-2009 quando un gruppo di associazioni ci hanno invitato ad animare gli spazi delle ex Officine delle Ferrovie della Calabria, spazio occupato qualche tempo prima; invito accolto volentieri visto che da sempre pensiamo che l’impegno di un Gasista non può fermarsi all’acquisto di prodotti etici e naturali ma deve necessariamente espandersi alle lotte ambientali, sociali e, nel caso specifico, alle battaglie per gli spazi sociali e contro la cementificazione.”

gas1

-10 anni con alti e bassi, quali sono i risultati, dall’aumento dei prodotti offerti al giro di persone, ma cosa manca, quali sono le criticità, dovute al confronto-scontro con la logica dei ipermercati, rimane solo una sensibilità e necessità di nicchia o pensi che i gas un giorno possano mettere in crisi il produci consuma crepa?
“Certo le difficoltà sono tante. Un GAS non è una strategia di marketing per vendere prodotti biologici o un nuovo servizio al consumatore che si propone sul mercato ma vuole essere una pratica di auto-organizzazione e come tale richiede impegno. In una delle ultime e-mail abbiamo detto ai nostri aderenti di non fidarsi neanche del GAS, cioè di non approcciarsi con la mentalità dei consumatori-acquirenti, ma di attivarsi concretamente senza delegare ad altri il pezzo che ognuno di noi può fare. Ecco perchè siamo contenti quando perdiamo un gasista che frequentandoci ha ricordato di avere un piccolo pezzo di terra ormai abbandonato da anni e gli è tornata la voglia di coltivarlo. Anche dal punto di vista economico e sociale ci sono dei grossi ostacoli. Solo nel quartiere popolare in cui realizziamo il GAS sono presenti una decina tra super ed iper-mercati. Facendo un rapporto tra numero di abitanti, reddito medio e numero di esercizi commerciali il conto non torna. Molti di questi esercizi non sono altro che macchine per il lavaggio dei capitali di provenienza illecita e possono concedersi il lusso di lavorare anche in perdita. Questo gli consente prezzi stracciati e campagne (3×2, bis ecc…) che in un momento di crisi come questo sono particolarmente attraenti. Inoltre il nostro modo di produrre che si fa carico dell’ambiente, della dignità del lavoro e della salute delle persone è schiacciato dalle logiche predatorie dell’industria che per calamitare i consumatori nell’immane guerra chiamata competitività deve abbassare i prezzi a danno dei salari di braccianti e operai, occultare in discariche abusive gli scarti di lavorazione e fregarsene della qualità del prodotto finale. E’ vero che il pane che compri al discount costa 1,50 ma come e di cosa è fatto? Ritornando alla tua domanda possiamo dire certamente che i GAS sono già una realtà importante e con una crescita impressionante ma possono diventare dirompenti solo se saranno capaci di creare uno scenario nuovo e di imporre nuove parole d’ordine come cooperazione, comunità e partecipazione. La sfida sta nel cambiamento degli stili di vita e del paradigma culturale.”

gas3

-Quali sono gli obbiettivi a medio termine, i progetti in corso? “Obiettivo primario è quello di “chiudere” le filiere. Attraverso il progetto “il Seme che Cresce” siamo partiti dal grano, di varietà storiche coltivate nel nostro territorio, coltivato con tecniche naturali, per passare alla farina integrale molita in vecchi mulini ad acqua (a emissioni zero) e quindi al pane lievitato con Pasta Madre e cotto nel forno a legna. Ci stiamo attrezzando per la pasta secca. Poi ci sono gli agrumi prodotti senza passare dal meccanismo di sfruttamento delle Piane calabresi ed il vino artigianale che prevede un passaggio diretto dal vigneto alla tavola.
Tutto questo ovviamente rafforzato da momenti di auto-formazione e divulgazione che consentano un approccio diverso al consumo e aumentino la consapevolezza dei gasisti. Proprio per questo abbiamo pensato una volta al mese di organizzare un momento più articolato fatto di relazione, incontro, riflessione e convivialità. Nel medio termine stiamo riflettendo su come far diventare sempre più le ex Officine un luogo di vita, attivismo e progettazione comune rivolgendo lo sguardo anche all’esterno, alle tante terre incolte e abbandonate, agli usi civici, alla cooperazione. E… se son rose fioriranno!!!! Un saluto a tutta la redazione di Umanità Nova, strumento da noi molto apprezzato e che circola ormai stabilmente nella nostra realtà grazie all’impegno della Fucina Anarchica.”

                                                                                             a cura di Orestes

Intervento di Marco Tranquilli della la Comune Agricola Comunista Libertaria Sabina di Poggio Nativo         https://www.youtube.com/watch?v=f_o5AvWvujQ

 

Pubblicato in General | Commenti disabilitati su AUTORGANIZZAZIONE SOCIALE. GAS: 10 anni e non sentirli